Una volta ci si interrogava, si ragionava, si lottava, si otteneva, oggi sembra siamo diventati tutti più egoisti, individualisti e menefreghisti, sarà effetto Covid o effetto senso del benessere?
Ho avuto modo di esprimere i miei sentimenti nei confronti di chi rischia quotidianamente la propria incolumità in sella a una bicicletta per consegnare a casa il cibo.
Sarebbe bello che anche come clienti/consumatori, si proponesse una sorta di ‘sciopero’ delle ordinazioni, in solidarietà, fin a quando le piattaforme di consegna del cibo a domicilio non garantisce tutele minime ai ciclofattorini.
Come consumatori dobbiamo chiederci se il costo reale di un servizio, quasi gratuito ma sul quale c’è un utile da parte di alcune società, viene pagato dai lavoratori, in termini di sotto- tutela.
Quello dei modelli di consumo, verso quali esiti conducono, è un grande tema che ci interpella tutti.
Le tutele minime da garantire ai ciclofattorini dovrebbero essere
· il diritto a un compenso dignitoso, che non è solo una cifra adeguata, ma in particolare il superamento del cottimo puro, del compenso a singola consegna.
· la questione della sicurezza e salute del lavoratore; non solo assicurare i rider all’Inail e dare loro copertura previdenziale,
· prevedere la necessaria dotazione di dispositivi individuali di sicurezza come casco, luci, ecc, in questo segmento di attività il rischio di incidente è alto, con potenziali effetti invalidanti.
· il diritto al riposo
· la trasparenza del sistema di costruzione del ranking e dell’algoritmo che premia e penalizza i lavoratori, regolando le prestazioni. Con il rischio che si alimenti anche una concorrenza spietata fra gli stessi lavoratori per accaparrarsi gli orari e le consegne migliori, fino a fenomeni che potremmo chiamare di «autosfruttamento » fra i rider stessi.
Il decreto del governo non corrisponde a quanto gli esponenti del governo avevano prospettato, finendo per deludere le attese che si erano create tra i rider, uno solo il punto positivo l’assicurazione obbligatoria per tutte le tipologie di lavoratori coinvolti.
Il decreto non chiarisce le ambiguità sulla natura del rapporto, sulla remunerazione prevede una sorta di cottimo parziale che, è negativo.
Il vero limite di tutta la vicenda è che la soluzione non può che venire da una vera contrattazione fra le parti, inserendo questi lavoratori o nelle tutele complessive di un contratto nazionale o in un salario minimo con diritti minimi legiferati.
Decreto o contrattazione, con tutele e limiti. La vera questione è: se il lavoro, pur nella discontinuità, nella libertà di prestazione e nell’’agilità’ offerta dalle nuove tecnologie, viene riconosciuto e l’apporto delle persone viene valorizzato, bene, se invece si dovesse verificare che questa o altre attività dei cosiddetti nuovi lavori, si reggono esclusivamente sulla sottotutela, sul sotto-pagamento, sull’insicurezza dei lavoratori, allora dovremmo porci la domanda se vogliamo che sia legalizzata la schiavitù, sotto la forma dei nuovi lavori.
C’è un ritardo del sindacato nell’affrontare questi temi e una diffidenza dei giovani nei confronti del sindacato.
Non si possono negare ritardi, difficoltà a rappresentare questi nuovi segmenti del lavoro e diffidenze.
Un mio vecchio segretario, mi ripeteva spesso: ”noi rappresentiamo un orticello, ma la prateria inesplorata è molto estesa ed è li che dobbiamo andare a seminare i sentimenti di giustizia e di speranza in un mondo migliore e più tutelato.
La politica e il sindacato tradizionale, non ha fatto niente per loro, forse come nuovo sindacato, come consumatori e come addetti ci potrebbe essere un modo di rappresentare questi nuovi lavori privi di ogni tutela.
Alfredo Magnifico