Patto sociale? Una gabbia vecchia e inutile

Stiamo attraversando una grave crisi sanitaria, sociale, economica e occupazionale che non lascerà nulla com’era e molto probabilmente stravolgerà i nostri costumi e le nostre abitudini, al di là di proclami e/o espressioni cervellotiche siamo ancora nel vortice della pandemia.

Sembra che la paura, la consapevolezza del cambiamento, le riscoperte fragilità, la predicata solidarietà per qualcuno siano già archiviate.

C’è una comprensibile ansia di tornare a una normalità che non sarà più la stessa.

Il forzato isolamento sta facendo affiorare i peggiori difetti del paese:il puntare il dito verso l’altro, la deresponsabilizzazione, la rimozione delle colpe,la dimenticanza.

Nelle piazze, abbiamo visto emergere il volto peggiore, quello negazionista, fascista, razzista, populista e nazionalista, che cavalca bisogni e sofferenze sociali reali, adunate all’ insegna del disprezzo della vita altrui, del sacrificio di medici, infermieri, personale sanitario, impegnati contro il virus che è ancora vivo tra noi e continua a tracimare morti.

Un padronato italiano conservatore e una Confindustria la cui irresponsabilità sociale è confermata dalle dichiarazioni vergognose e arroganti del suo neo presidente , guarda e personalmente, ho la sensazione che fomenti queste piazze.

Una Confindustria che per uscire dalla crisi avanza proposte da “padroni delle Ferriere”, fuori luogo e fuori tempo, come fuori luogo e fuori tempo è lo scimmiottare un nuovo “patto sociale” rieditando una brutta copia di quello del 1993 tra Governo, Sindacato e Confindustria. Dinanzi a una crisi di sistema, che impone il cambiamento radicale e il superamento del capitalismo predatorio dello sfruttamento delle persone e del pianeta, ampiamente richiamato da papa Francesco, quel patto concertativo dei due tempi è un vecchio strumento inservibile e non più proponibile, come una vecchia minestra ormai andata a male che, riscaldata, si pensa di riproporre sulla tavola dell’ospite di turno.

Nel 1993 fu causa di rotture tra base e vertice sindacale,  lo ricordo bene, creò divisioni tra sindacato e l’anima sociale della politica e finì per rivelarsi uno scambio a perdere, per la classe lavoratrice, sul fronte salariale, occupazionale e dei diritti.

Forse si salvò il paese dalla crisi economica ma, di certo, il movimento dei lavoratori pagò un prezzo altissimo.

Oggi il sindacato ha l’esigenza di rimanere libero e autonomo, protagonista del cambiamento, e non soggetto imbracato, in un vincolante quanto inutile patto sociale.

In campo ci sono diverse proposte, vedo digrignare i denti con voglie cannibalesche, si scontrano interessi diversi e alternativi, visioni di società e di mondo; uno scontro strategico tra capitale e lavoro, dove il capitale cerca di pestare sempre più il lavoro, è illusorio pensare di comprimere in un “patto” tra poteri diversi, soggetti sociali e politici, il più debole di sicuro soccomberà.

Limitarsi a sopravvivere al virus non è una politica che guarda al futuro ma è una resa incondizionata.

Si rischia il “De Profundis” dell’Europa, se non sa ripensarsi sociale e solidale, una certa politica, che per anni ha rappresentato la classe lavoratrice, se vuole tornare a rappresentare il lavoro non può rimanere “incolore” e sacrificare ancora la sua identità sull’altare del mercato e della cultura neoliberista.

Il sindacato su qualsiasi proposta di alleanza e di coesione sociale per risollevare il paese dovrà schierarsi su una strategia alternativa di sviluppo che abbia al centro la persona e non il profitto, il lavoro e il diritto alla vita e alla sicurezza sociale, per il sindacato è il momento di essere protagonista e di conquistare il cambiamento con la partecipazione, la lotta e l’unità del mondo del lavoro.

Alfredo Magnifico – segretario Generale Nazionale Confintesa Smart

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