Non il Referendum ma le sentenze stanno azzerando il Jobs Act

La Consulta è intervenuta per la sesta volta in dieci anni dall’entrata in vigore del Jobs Act questa volta per dire che è incostituzionale il tetto di sei stipendi di risarcimento che spetta al lavoratore di una piccola impresa fino a quindici dipendenti in caso di licenziamento illegittimo.

Viene meno così un altro punto della riforma di Renzi, dopo le sentenze della Corte di Costituzionale e gli interventi legislativi che negli anni hanno modificato il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, la disciplina dei contratti a termine e le regole sulla fine del rapporto di lavoro contenute nella legge delega.

La questione dei risarcimenti nelle piccole imprese, era oggetto del secondo quesito del referendum dell’8 e 9 giugno, oggi su sollecitazione della Consulta, potrebbe trovarsi a dover fare proprio l’attuale maggioranza di destra.

La differenza del risarcimento tra imprese grandi e piccole in realtà era già nella legge 604 del 1966 sui licenziamenti (a cui si faceva riferimento nel secondo quesito del referendum) e anche lo Statuto dei lavoratori del 1970 prevedevano la distinzione.

Nel secondo quesito del referendum di giugno, si proponeva di eliminare la soglia massima del risarcimento per le piccole imprese, lasciando alla discrezionalità del giudice l’ammontare complessivo dell’indennizzo da riconoscere al lavoratore.

La sentenza 118, accoglie una questione sollevata dal Tribunale di Livorno, fa riferimento all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo numero 23 del 2015 del Jobs Act, secondo la Corte Costituzionale, l’imposizione del limite massimo di sei mensilità «fisso e insuperabile, a prescindere dalla gravità del vizio del licenziamento», in aggiunta alla previsione del dimezzamento degli importi (indicati agli articoli 3, comma 1, 4, comma 1, e 6, comma 1, del Decreto legislativo n. 23 del 2015), fa sì che l’ammontare dell’indennità sia «circoscritto entro una forbice così esigua da non consentire al giudice di rispettare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento del danno sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato».

Per i giudici, con un indennizzo così basso, verrebbe anche meno «la funzione deterrente della stessa indennità nei confronti del datore di lavoro». Anche perché nelle piccole imprese il risarcimento è, di fatto, l’unica tutela contro i licenziamenti arbitrari.

Nel determinare l’entità del risarcimento, la corte sostiene che non si può fare riferimento solo all’unico criterio del numero dei dipendenti, prendendo come riferimento la legislazione europea e italiana sulla crisi d’impresa, l giudici sottolineano che «il criterio del numero dei dipendenti non costituisce l’esclusivo indice rivelatore della forza economica dell’impresa e quindi della sostenibilità dei costi connessi ai licenziamenti illegittimi».

L’effetto della pronuncia fà sì che se per le grandi imprese in caso di licenziamento illegittimo sanzionato con il risarcimento, il range resta tra sei e trentasei mensilità, per le piccole imprese fino a quindici dipendenti, il limite è compreso tra un minimo di tre a un massimo di sei mensilità, adesso con il venir meno della soglia di sei mensilità si passa ad una forbice più estesa compresa tra un minimo di tre e un massimo di diciotto mensilità sulle quali potrà decidere il giudice del lavoro.

La Consulta aggiunge «l’auspicio di un intervento legislativo» per stabilire nuovi criteri certi, cosa già fatto nel 2022, quando con la sentenza 183 del 2022 aveva evidenziato l’illegittimità dell’articolo 9 del decreto 23 del 2015, lanciando un monito al legislatore perché intervenisse, altrimenti sarebbero intervenuto i giudici della Consulta.

È l’ennesima modifica del Jobs Act attuata dalla Corte Costituzionale. La prima sentenza contro il contratto a tutele crescenti è arrivata nel 2018, una seconda nel 2020 sempre in relazione all’indennità risarcitoria.

Nel 2024, le sentenze della Consulta che hanno dichiarato incostituzionali alcune parti del Jobs Act sono state tre, a questo si aggiungono gli interventi legislativi sui contratti a termine e l’innalzamento del tetto massimo del risarcimento dal 2018 in poi, che già da tempo fanno dire a esperti e giuslavoristi che sarebbe il caso di rimettere mano e riordinare le regole sui licenziamenti, troppo caotiche e frammentate.

Il tetto al risarcimento per le piccole aziende sparisce e servirà riscrivere le norme in materia, a doverlo fare sarà, con molta probabilità la maggioranza di governo.

Alfredo Magnifico

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