La nostra Carta Costituzionale riporta all’art.1 “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, oggi quella promessa sembra sempre più lontana, al di là delle chiacchiere vuote o di slogan appiccicaticci, se la vogliamo davvero onorare, dobbiamo cominciare a tramutare le chiacchiere con i fatti: più equità, più tutele, più giustizia salariale.
L’Italia è il Paese del G20 in cui i salari sono crollati di più dal 2008, lo afferma l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e lo ribadisce in queste ultime ore anche OCSE: in termini reali, gli stipendi italiani sono diminuiti dell’8,7% negli ultimi quindici anni.
Un dato allarmante, non una semplice statistica economica, viene fuori la fotografa di una crisi strutturale, che ha minato alla base il potere d’acquisto e la dignità di milioni di persone.
La contrazione si abbatte in modo sproporzionato sui lavoratori a basso reddito, cioè, coloro che spendono la maggior parte del proprio stipendio in beni essenziali, cibo, trasporti, affitto, cioè quelli che hanno subito i rincari maggiori negli ultimi anni. Per farla breve, chi viveva al limite, oggi sopravvive, spesso non ce la fa a campare e per sopravvivere fa la fila alla Caritas.
L’Italia, non è sola ma condivide questo declino salariale con altre economie avanzate come Giappone (-6,3%), Spagna (-4,5%) e Regno Unito (-2,5%), ma nessuna di queste ha subito una contrazione così netta come quella italiana.
In un panorama in cui la produttività cresce e gli utili aziendali continuano ad aumentare, la domanda sorge spontanea: chi si arraffa i frutti del lavoro?
La risposta è amara ma subliminale: nei profitti di pochi; ed ecco che mantenere i salari bassi può far comodo a chi accumula capitali, che a livello sistemico non porta crescita, né giustizia sociale. Il divario tra ricchi e poveri si amplia, mentre la classe media tende a sparire.
Chi possiede patrimoni importanti li vede moltiplicare e consolidare, chi vive di stipendio fatica a sostenere il costo della vita.
Eppure, le soluzioni esistono; si potrebbero tassare in modo equo le grandi multinazionali e i grandi patrimoni, oggi spesso esentati o agevolati, si pptrebbero rinnovare i contratti con sbarramento ad una cifra minima al di sotto del quale non si scende,o introdurre dove manca la contrattazione un salario minimo legale, come esiste nella quasi totalità dei Paesi europei, in Italia, la proposta è stata sempre respinta.
Non è più il tempo dell’indifferenza o dei calcoli di convenienza, sarebbe il momento, per i sindacati tutti, di smettere di fare come i polli di Renzo e tutti uniti, riscrivere le priorità della politica economica mettendo al centro il lavoro, la sua dignità, la sua retribuzione. Servirebbe una costituente, per costruire un impianto legislativo e contrattuale che garantisca ai lavoratori la possibilità di vivere, non di sopravvivere, un Paese che non protegge chi lavora è un Paese che si condanna da solo ed è destinato all’estinzione.
Alfredo Magnifico