L’intervento/Maternità in Italia: 6 milioni le mamme “equilibriste” tra lavoro e carichi familiari

Dal VII° Rapporto di Save The Children sulla fatica di essere madri, viene fuori un quadro critico; a partire dal tasso di natalità che nel 2021, in Italia, segna l’ennesimo minimo storico dall’Unità d’Italia, i nuovi nati, infatti, calano al di sotto della soglia dei 400mila (399.431), in diminuzione dell’1,3% sul 2020 e di quasi il 31% rispetto al 2008.

Il 42,6% delle mamme tra i 25 e i 54 anni non è occupata e il 39,2% con 2 o più figli minori è in contratto part-time.

Le donne scelgono la maternità sempre più tardi (l’età media al parto delle donne raggiunge i 32,4 anni) e fanno sempre meno figli (1,25 il numero medio di figli per donna).

Solo 1 contratto a tempo indeterminato su 10 tra quelli attivati nel primo semestre 2021, è a favore delle donne.

Nel 2020 più di 30mila donne con figli hanno rassegnato le dimissioni, spesso per motivi familiari, perché non supportate da servizi sul territorio, carenti o troppo costosi, come gli asili nido, nell’anno 2019-2020 solo il 14,7% del totale dei bambini 0-2 anni ha avuto accesso al servizio finanziato dai Comuni. 

Mamme alla continua ricerca di un equilibrio tra vita familiare e lavorativa, senza supporto e con un carico di cura importante, aggravato negli ultimi anni dalla pandemia.

Le Regioni in cui la condizione delle madri è peggiore o migliore sulla base di 11 indicatori rispetto a tre diverse dimensioni: la cura, il lavoro ed i servizi, inoltre, l’indice evidenzia i principali mutamenti che hanno interessato la condizione delle madri nei diversi territori.

Lo scenario delineato dai dati indica un mancato sostegno pubblico alle mamme che affonda le sue radici nelle pesanti disparità di genere in Italia che prescindono dalla decisione delle donne di avere dei figli.

Per le diplomate i salari sono sistematicamente inferiori e il divario di genere tende ad aumentare nel tempo.

Il reddito mensile lordo medio stimato per i ragazzi nell’anno del diploma ammontava a 557 euro, mentre per le ragazze a 415, nell’anno successivo, quando i lavori cominciano ad essere più stabili, sale a 921 euro per gli uomini, mentre per le donne è di 716 euro.

Alle soglie dei 30 anni, gli uomini mostrano una traiettoria salariale ancora in crescita; quella femminile si appiattisce.

Il reddito della donna all’interno di una famiglia ,essendo  più basso, diventa più sacrificabile, generando così un circolo vizioso che favorisce l’esclusione femminile dal mercato del lavoro.

La lieve ripresa economica dell’anno scorso è stata caratterizzata da ingiustizie di genere: delle 267.775 trasformazioni contrattuali a tempo indeterminato del primo semestre 2021, solo il 38% riguarda le donne,analizzando  le attivazioni contrattuali (sul totale) nel 1° semestre per le donne (poco più di 1,3 milioni), il 38,1% è a tempo determinato; segue il lavoro stagionale,17,7%, la somministrazione 15,3% e, solo per ultimo, il tempo indeterminato il 14,5%.

Mentre degli oltre 2 milioni di contratti attivati per gli uomini, circa la metà (il 44,4%) è a tempo determinato, subito seguito dall’indeterminato (il 18%).

La condizione professionale delle donne nel mercato del lavoro, che vige in Italia, si potrebbe riassumere nello slogan “Le ultime ad entrare, le prime ad uscire”, come sottolinea il CNEL.

Secondo il Rapporto “Le Equilibriste”, il 42,6% delle donne con figli nella fascia d’età 25-54 risulta disoccupata, con uno divario rispetto agli uomini di oltre il 30%, il dato varia a seconda delle aree del Paese, arriva a sfiorare il picco del 62,6% nel Mezzogiorno, seguito dal 35,8% al Centro e da un 29,8% al Nord. 

Il tasso di occupazione dei padri tende a crescere con l’aumentare del numero di figli minorenni presenti nel nucleo, mentre quello delle madri tende a diminuire.

A fronte del 61% di madri con un figlio minorenne occupate (tre donne su 5), gli uomini nella stessa condizione, che hanno un lavoro, sono l’88,6%.

Il divario aumenta quando, entrambi i generi hanno due o più figli minorenni, donne occupate 54,5% a fronte dell’89,1% degli uomini, con una differenza di 34,6 punti.

La motivazione più insistente e più frequentemente segnalata continua ad essere la conciliazione della vita professionale con le esigenze di cura dei figli.

 La crisi da Covid-19 è stata un acceleratore di disuguaglianze sociali, economiche, educative e le donne, in particolare le mamme, hanno pagato un prezzo altissimo.

Alfredo Magnifico

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