La prescrizione dei crediti da lavoro  

La questione dei crediti da lavoro maturati e non rivendicati in costanza di rapporto di lavoro (regolato nell’art. 18 della L.300 modificato dalla legge n. 92/2012, successivamente modificato dal D.L. n. 23/2015 con il quale la reintegra nel posto di lavoro, a fronte di un licenziamento illegittimo era divenuta un’eccezione rispetto alla regola generale dell’indennizzo.

L’argomento era stato poi affrontato e risolto dalla Cassazione, con la sentenza n. 26246/2022, con una interpretazione che faceva, decorrere il termine di prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro e non durante il suo svolgimento (come accadeva prima nelle imprese con un organico superiore alle 15 unità), ciò in assenza di qualsiasi intervento del Legislatore, pur in presenza di sollecitazioni pervenute da vari soggetti interessati.

La Cassazione aveva sottolineato come la progressiva riduzione della tutela reale avesse comportato una minore stabilità nel rapporto di lavoro esponendo il dipendente ad una condizione di soggezione, per una sorta di “metus reverentialis” che non lo rendeva libero di rivendicare i propri diritti.

I giudici erano giunti alla decisione dopo un excursus sugli indirizzi che la Corte Costituzionale aveva espresso negli anni precedenti con la sentenza n. 63/1966 che aveva affermato il principio che la prescrizione non potesse decorrere in costanza di rapporto di lavoro laddove il lavoratore si fosse venuto a trovare in una situazione di sudditanza materiale o psicologica con il rischio che una rivendicazione potesse, poi, innescare un provvedimento di licenziamento.

Con la sentenza n. 174/1972, successivamente, la Consulta aveva stabilito che esistevano alcuni rapporti dotati di stabilità reale, ove il differimento dei termini prescrizionali non era più giustificabile e, di conseguenza, poteva decorrere anche in costanza di contratto.

La prescrizione, per legge avviene entro cinque anni (art. 2946 c.c.) tutto ciò che viene corrisposto dal datore con una periodicità annuale o infra-annuale come, ad esempio, le retribuzioni e le loro differenze, le competenze per il lavoro straordinario o quelle di fine rapporto.

La prescrizione decennale nel nostro ordinamento, è residuale concretandosi, ad esempio, nel c.d. premio di invenzione o in richieste di denaro indipendenti ed autonome rispetto a quelle di natura stipendiale.

Per quanto riguarda i soci lavoratori delle cooperative per i quali, in passato, si erano formati indirizzi giurisprudenziali di tenore diverso, come si rileva dalla sentenza della Cassazione n. 27783/2022, ove si focalizzava l’attenzione sul fatto che il socio lavoratore, titolare di un rapporto associativo e, poi, di un rapporto di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001, si trovava in una posizione di relativa stabilità, cosa che, poteva consentire la rivendicazione dei propri diritti economici anche in costanza di rapporto.

Nell’ ultima sentenza della stessa Corte, la n. 26958 dello scorso 7 ottobre, ha emesso un indirizzo opposto che si rinviene in altre decisioni maturate nel corso del 2023 (ad esempio, la n. 19493, la n. 21332 e la n. 25477), sostenendo che ai soci lavoratori si applica quanto deciso dallo stesso organismo giudiziario per gli altri lavoratori nel 2022: “completa assimilazione con il regime previsto per i lavoratori subordinati e decorrenza dei termini prescrizionali dal giorno in cui finisce il rapporto.”

Secondo la Cassazione, la disciplina speciale prevista dalla legge n. 142/2001 con entrambi i rapporti (quello associativo e quello di lavoro subordinato) non garantisce, in alcun modo, la stabilità del rapporto, in quanto la cooperativa può procedere al licenziamento del dipendente socio senza, procedere alla cancellazione del rapporto associativo.

Tale ragionamento è corretto poiché spesso, nel mondo variegato delle società cooperative, molti lavoratori, soprattutto extra comunitari, si trovano “associati” senza rendersene conto (a volte si “estorce” la firma di adesione al momento dell’assunzione) e molte strutture datoriali nascono e muoiono nel giro di poco tempo (magari perché, legate a singoli appalti) per poi rinascere sotto altra veste poco tempo dopo, lasciando insoluti una serie di debiti sia nei confronti degli ex dipendenti che, dell’Erario e degli Istituti previdenziali.

Alfredo Magnifico

Commenti Facebook