Insoddisfazione retributiva e mancanza di parità salariale

Tra meno di un anno (7 giugno 2026), l’Italia dovrà recepire la direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza salariale, i dipendenti avranno il diritto di richiedere informazioni sui livelli salariali interni, per cui le aziende con più di 100 dipendenti dovranno pubblicare regolarmente relazioni sulle strutture retributive e i dipendenti avranno il diritto di richiedere informazioni sui livelli salariali interni, utile a contrastare una realtà ancora troppo diffusa: il divario retributivo.

SD Worx ha effettuato un’analisi dalla quale è scaturita una ricerca HR & Payroll Pulse,che ha rilevato alcuni dati interessanti.

Il primo dato che colpisce, allineato alla media europea, rispecchia sicuramente la frustrazione generale sullo stipendio; quasi la metà dei lavoratori italiani si sente sottopagato (48% vs 49% EU), percentuale che aumenta al 56% per i dipendenti pubblici, solamente il 34% degli italiani riconosce che il proprio stipendio è competitivo e allineato agli standard del suo settore, mentre meno del 40% dichiara che è equo rispetto a quello dei colleghi che ricoprono ruoli simili all’interno dell’organizzazione.

Prevale scetticismo sui reali sforzi dei datori di lavoro per combattere le disparità salariali, soprattutto nel settore pubblico dove solo il 25% dei lavoratori, in Italia, crede si stiano impegnando in tal senso (vs 33% settore privato).

Interessante notare che il 50% dei datori di lavoro italiani dichiara che si è mobilitato per eliminare le disuguaglianze interne.

Gli uomini premiano le proprie organizzazioni con un punteggio superiore rispetto alle donne (36% vs 31%) se sono chiamati a valutare l’equità e l’imparzialità delle decisioni assunte dall’azienda in materia di retribuzione.

I risultati italiani, in termini di trasparenza, superano leggermente la media europea, pur confermandosi negativi, “l’organizzazione garantirebbe la trasparenza delle retribuzioni, compresa una comunicazione chiara sulle politiche retributive, sui pacchetti, sui divari o sugli aumenti retributivi” il 34,5% dei rispondenti (vs 30% EU), con il 37% tra gli uomini (vs 33% EU), e al 31% tra le donne (vs 27% EU).

A partire da giugno 2026, le aziende con più di 100 dipendenti dovranno pubblicare relazioni periodiche sulle strutture retributive e i dipendenti avranno il diritto di richiedere informazioni sui livelli retributivi interni all’organizzazione.

La direttiva europea 2023/970 introduce l’obbligo di rendere espliciti criteri retributivi, scatti di livello e parametri salariali, assicurando che il divario retributivo tra generi non superi il 5%, si tratta di un punto di svolta che rischia di restare solo un atto formale se non accompagnato da un cambiamento culturale più ampio.

Secondo un recente sondaggio di Indeed, solo il 19,3% degli annunci di lavoro pubblicati on line include una fascia di retribuzione, a fronte del 50,7% in Francia e del 69,7% nel Regno Unito.

Meno della metà adotta politiche trasparenti, e appena il 40% si dichiara favorevole al fatto che i propri dipendenti possano discutere apertamente di salario.

La scusa che ad abbassare il livello di retribuzione siano i contratti non firmati da CGIL CISL UIL è una bufala,solo nel commercio si applicano quattro Contratti sottoscritti da CGIL-CISL-UIL e quattro parti datoriali, il Contratto del turismo è stato smembrato e ridotto a diversi contrattini di settore con difficoltà di rinnovi alla scadenza.

Né le parti datoriali ne le parti sindacali hanno la consapevolezza che esiste una questione legata alla necessità di garantire ai lavoratori una retribuzione dignitosa e proporzionata, in linea con i principi sanciti dall’articolo 36 della Costituzione e nel quadro delle recenti direttive europee.

Forse la politica e il Governo dovrebbero avere maggior considerazione sulla mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione e “ sic stantibus rebus” decretare il fallimento della Contrattazione che con le lacune che ha non è riuscita a prevedere la garanzia della retribuzione “proporzionata e sufficiente”, sarebbe il caso di sottoscrivere i contratti in sede di ministero, coinvolgendo tutte le parti datoriali e sindacali ed eliminando così ogni scusa su parti poco rappresentative e CCNL anomali.

La soluzione risiede in norme di legge che abbiano come fine quello di sostenere una contrattazione collettiva di qualità, sia per fattori normativi che economici, che sia negoziata e sottoscritta da tutte le organizzazioni Sindacali e Datoriali per garantire retribuzioni adeguate e contrastare il dumping salariale nel sistema italiano ed evitare vittime e carnefici».

L’introduzione di un salario predeterminato in materia fissa per legge, in attesa di contrattazione,  risolverebbe le problematiche legate alle dinamiche reddituali e al lavoro povero di categorie nuove che oggi sono alla mercé di negrieri e sfruttatori.

Alfredo Magnifico

Commenti Facebook