Incapacità lavorativa, l’ordinanza della Cassazione

La Cassazione traccia una linea per la liquidazione del danno alla capacità lavorativa specifica,con l’ordinanza della sez. civ., III,del 5 agosto 2025, n. 22584, nasce da un infortunio occorso a un passeggero che cade e riporta lesioni per brusca frenata su un autobus soprattutto con la perdita della capacità di guadagno.

La Cassazione rigetta il ricorso principale della società di trasporto, accoglie il terzo e il sesto motivo del ricorso incidentale del danneggiato, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Bari. Il cuore giuridico della decisione sta nei punti 7 e 10, che ridisegnano con nettezza metodo di prova e quantificazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa.

Per la Cassazione nessuna relazione tra la valutazione INAIL, specie sotto il 16%, ed un danno patrimoniale da incidenza della menomazione sulla incapacità lavorativa

Al punto 7 la Corte dichiara viziata per motivazione apparente la decisione di merito che aveva stimato la perdita della capacità di lavoro nella misura di due quinti richiamando, come prova, il riconoscimento INAIL del 12% di invalidità permanente, il dato, per la Cassazione, non prova nulla sulla capacità di guadagno: per menomazioni sotto il 16% l’INAIL indennizza solo il danno biologico; e non esiste corrispondenza biunivoca tra percentuale di danno biologico e danno patrimoniale.

Per liquidare il lucro cessante occorre l’accertamento di:

·        quali postumi residuano;

·        che lavoro (o mansioni) svolgeva la vittima; se, come e quanto quei postumi siano incompatibili con l’impegno fisico o cognitivo richiesto;

·        quale sia l’effettiva o presumibile contrazione reddituale (confrontando redditi ante e post sinistro, oppure, se la vittima non lavorava, utilizzando redditi figurativi ragionevoli).

Le presunzioni restano ammissibili, e devono poggiare su fatti noti e non su automatismi percentuali.

Solo la citazione della rendita INAIL, è insufficiente e scivola sotto il “minimo costituzionale” della motivazione.

La Cassazione al punto 10 completa e rafforza e censura in diritto il metodo della “percentualizzazione” del danno patrimoniale attraverso la cosiddetta incapacità lavorativa specifica (ILS) espressa in punti percentuali e applicata al reddito ante sinistro.

La Cassazione afferma che questo criterio è concettualmente e medico‑legalmente erroneo per quattro ragioni:

·        sposta surrettiziamente sul medico‑legale un giudizio giuridico (l’esistenza e la misura del danno patrimoniale), che appartiene al giudice;

·        la capacità di lavoro non è misurabile in percentuale come il danno biologico, perché dipende dal tipo di attività e dalle mansioni del singolo;

·        manca e non potrebbe esistere un barème delle incapacità lavorative – a differenza dei barèmes del danno biologico;

·        il rilievo medico di ILS dimostra al più la possibilità di un pregiudizio reddituale, non la sua esistenza né la sua entità. Perciò è escluso ogni automatismo tra percentuale di invalidità (o ILS) e risarcimento del lucro cessante.

La Corte richiama l’indirizzo europeo che raccomanda la comparazione dei redditi effettivi (o ragionevolmente figurabili) con e senza l’evento dannoso.

Ne discendono due principi di diritto: il danno da perdita di capacità di guadagno si accerta in tre passaggi – postumi, compatibilità con le mansioni, riduzione patrimoniale attuale o potenziale – e non si liquida moltiplicando il reddito per una percentuale di ILS; inoltre, pur ammettendo la prova presuntiva, va negato ogni automatismo tra grado di invalidità e danno patrimoniale.

Tradotto in pratica: al CTU medico‑legale si chiede di descrivere quali attività sono rese più difficoltose o precluse dai postumi in rapporto alle mansioni concrete della vittima (forza, resistenza, precisione, concentrazione, postura, ecc.), non di attribuire una percentuale di “incapacità lavorativa specifica” da applicare al reddito.

Al giudice spetta poi verificare – sulla base di prove documentali, testimoniali e presunzioni gravi, precise e concordanti – se da quella incompatibilità derivi una effettiva perdita o riduzione di reddito, distinta tra danno già maturato (da rivalutare) e danno futuro (da capitalizzare), senza scorciatoie matematiche fondate su percentuali medico‑legali. È questo il baricentro logico‑giuridico che sorregge la cassazione con rinvio pronunciata nel caso.

La sentenza impone di abbandonare definitivamente il modello “astratto” e percentualistico dell’ILS e di tornare a un accertamento individualizzato e probatorio del lucro cessante, fondato sul nesso tra postumi e mansioni e sulla dimostrazione (anche presuntiva) di una deminutio patrimonii.

Il giudice del rinvio dovrà rifare i conti su queste basi, ricalibrando l’intera liquidazione.

Alfredo Magnifico

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