Il licenziamento dopo il patto di prova, è nullo o inesistente

La Corte di Cassazione civile, Sez. lav., con la sentenza del 29 agosto del 2025, n. 24201, interviene nuovamente sulla disciplina del patto di prova, rafforzando un orientamento interpretativo che ne subordina la validità alla sua effettiva causa contrattuale.

La pronuncia chiarisce che il recesso datoriale, esercitato in pendenza di un patto nullo per vizio genetico, non gode della libera recedibilità tipica dell’istituto, ma si converte de iure in un licenziamento illegittimo, attivando il corrispondente regime sanzionatorio.

Pertanto in caso di nullità del patto di prova, la cessazione unilaterale del rapporto di lavoro per mancato superamento della prova stessa non costituisce giusta causa o giustificato motivo del licenziamento.

Con la sentenza n. 24201/2025, la Corte di Cassazione ha riaffermato che, alla luce della decisione della Corte Costituzionale n. 128/2024, al -licenziamento- intimato per asserito mancato superamento del periodo di prova è inesistente, perché affetto da una “nullità genetica” trova applicazione l’art. 3, comma 2, del decreto legislativo n. 23/2015 (e non la tutela indennitaria prevista dal comma 1), il quale prevede la reintegrazione nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui in giudizio sia dimostrata l’insussistenza materiale del fatto contestato al lavoratore. Il rapporto di lavoro va considerato a tempo indeterminato sin dall’origine.

Alfredo Magnifico

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