Ho alle spalle circa mezzo secolo di storia sindacale, senza fare troppi sforzi di analisi, constato una crescente perdita, all’interno delle organizzazioni sindacali, di libertà di azione e organizzazione delle federazioni, la struttura cui aderisce la persona che lavora, per esserne rappresentata contrattualmente, cosa che incide con una drammatica perdita di efficacia nella contrattazione salariale.
In una recente pubblicazione del giornalista Roberto Mania e del ricercatore dell’Ocse Andrea Garnero intitolata “La questione salariale”, Egea, 2025 pur non facendo l’analisi giuridica dell’organizzazione sindacale, come si evidenzia nel libro di Chiara Cristofolini, ma si fa un’analisi economica da cui risulta che negli ultimi trent’anni i redditi da lavoro dipendente in Italia, e solo in Italia, sono andati indietro in termini reali.
Oggi Cgil, Cisl e Uil sono spappolate e litigiose nel “modus operandi unitario”, di unitario rimangono solo “le canzonette del !° Maggio”, ma sono tre corpi in ciascuno dei quali convivono tre anime diverse.
Le organizzazioni confederali centrali sono ridotte a enti o organizzazioni che svolgono un ruolo politico, e si muovono con iniziative su quel terreno di segno magari opposto ma della stessa natura, basta vedere i referendum della Cgil o l’iniziativa di legge popolare della Cisl, dove dall’una e dall’altra parte su fronti diversi unici interlocutori sono i partiti politici, nel caso della CISL un assist al governo.
Mania sostiene che: “entrambe le azioni non aiutano molto l’attività più strettamente sindacale“ di questo sono ampiamente d’accordo, di quella che dovrebbe essere l’azione specifica affidata alle federazioni di categoria che firmano i contratti e che sono, secondo la teoria sindacale, “l’espressione della sua originaria tradizione e delle ragioni per cui le persone vi aderiscono“ alle categorie si aggiungono quelle che nel sindacato svolgono i servizi, cioè “i patronati e i centri di assistenza fiscale, la cui azione è una fonte importante di entrate economiche” a questi si sono assommati gli enti bilaterali).
In sintesi le federazioni hanno perso il ruolo trainante e si ritrovano schiacciate fra la preponderanza delle confederazioni che ricevono legittimazione del loro ruolo dalla politica e dall’altra parte dai servizi che alimentano, spesso su delega delle istituzioni, o meglio della politica importanti flussi di denaro.
Il risultato, afferma Garnero (p. 42), è che: “le categorie non hanno avuto la forza di opporsi al cambiamento in atto“, e il conflitto sindacale, è stato dirottato su altri temi, visto che in questi anni “sono stati indetti scioperi generali per le più svariate ragioni, ma mai frontalmente per la questione salariale“.
Il risultato (Ocse)è che i redditi da lavoro annuali, quel che entra effettivamente e determina il bilancio familiare, non la paga oraria, in Italia sono scesi del 3,4% in termini reali, mentre anche in Spagna sono saliti (del 9,15) per non parlare di paesi manifatturieri Germania (più 30,4) e Francia (più 30,9).
Forse, Mania e Garnero hanno ragione, se ci fosse un’unica organizzazione resterebbe il problema che chi fa i contratti deve trascinarsi il peso del livello confederale che; ragiona in termini politici e schiaccia le esigenze della rappresentanza economica, e anche il peso sugli iscritti dei servizi, a volte numeri e non persone, ma forniscono soldi con cui mantenere il consenso della burocrazia sindacale che esprime poi la dirigenza centrale, con questo voglio augurare che le cose possano cambiare e per intanto Buon I° Maggio.
Alfredo Magnifico