Cambia la scadenza delle causali dei Contratti a Tempo determinato

Con il comma 6 bis dell’art. 14, introdotto in sede di conversione del D.L. n. 95/2025 dalla legge n. 118/2025, cambia il termine per la definizione di causali concordate tra le parti nei contratti a tempo determinato, è stato prorogato al 31 dicembre 2026 il termine entro il quale, in mancanza di disciplina contrattuale, anche di secondo livello, sottoscritta dalle organizzazioni sindacali o dalle loro strutture aziendali (RSU o RSA), le parti (datore di lavoro e lavoratore, ma nella realtà è il primo a decidere) possono definire in autonomia le causali che consentano il superamento del limite dei dodici mesi nei contratti a tempo determinato: tali causali per esigenze tecnico, produttive ed organizzative sono valide anche per i contratti a scopo di somministrazione.

La nuova normativa, contenuta nel D.L. n. 48/2023 che ha innovato, l’art. 19, comma 1, del D.L. n. 81/2015, dopo le modifiche introdotte dal c.d. “Decreto Dignità”, il quale dopo aver previsto la possibilità di contratti a termine senza apposizione di una condizione per i primi dodici mesi di rapporto per mansioni riferibili allo stesso livello della categoria legale di inquadramento, pur in presenza di proroghe o rinnovi, ha stabilito che il superamento di tale limite fosse possibile soltanto inserendo una causale prevista dalla contrattazione collettiva sopra richiamata: in attesa che le parti sociali addivenisse ad accordi nei vari settori, era stata ipotizzata una scadenza iniziale al 31 dicembre 2024 entro la quale, a livello aziendale, si poteva sopperire alla carenza. Tale limite è stato oggetto, già di tre proroghe, fino all’ultima che è quella indicata dal comma 6-bis dell’art. 14, nel 31 dicembre 2026.

Per completezza di informazione, ricordo che altra causale prevista dall’art. 19, comma 1, riguarda la sostituzione di lavoratori assenti.

Perché il Governo ha inteso inserire nel provvedimento questa ulteriore proroga?

Le parti sociali, in buona parte della contrattazione collettiva, non hanno  definito le condizioni, come richiesto dalla legge, proprio perché una disciplina condivisa su una materia scottante come quella dei contratti a tempo determinato, è difficile da raggiungere, di conseguenza, questo ulteriore rinvio della norma “a tempo” che consente all’autonomia individuale di prevedere causali per specifiche esigenze, si è reso necessario, si tratta,  di una disposizione “cedevole” nel senso che, se in un settore dovesse intervenire un accordo collettivo prima del 31 dicembre 2026, i datori di lavoro interessati non potranno più procedere con accordi individuali, pur restando pienamente validi quelli già stipulati.

Se si lancia uno “sguardo d’insieme” sui contratti a termine si può facilmente notare come gli stessi difficilmente superino la soglia dei dodici mesi, fatti salvi quelli per sostituzione di personale assente ove, la dizione ampia fornita dal Legislatore, ne consente l’utilizzazione in situazioni diverse (sostituzione per malattia, infortunio, maternità, distacco, ecc.).

Si ha una certa ritrosia a procedere in autonomia e, sovente, raggiunto il limite dei dodici mesi quel lavoratore cessa il rapporto e, in caso di necessità, il datore si rivolge ad un altro soggetto che potrà lavorare, senza apposizione di alcuna causale, per altri dodici mesi. È, tutto sommato, un incentivo alla precarietà, atteso che anche la normativa non aiuta il lavoratore, il quale ha soltanto un diritto di precedenza da far valere in caso di una nuova assunzione a tempo indeterminato del datore per le mansioni già svolte entro i dodici mesi successivi alla cessazione del rapporto.

I datori di lavoro, pur avendo la possibilità di definire le condizioni per il superamento dei dodici mesi, in mancanza della disciplina contrattuale sono particolarmente restii ad individuarle, atteso che le stesse, in caso di contenzioso, vanno ben focalizzate, individuando per esteso e con dovizia di particolari le “esigenze” di natura tecnica, produttiva od organizzativa che le giustificano.

In caso di contenzioso occorre dimostrare le specifiche esigenze alla base del contratto: se il giudice non è convinto il rischio di una condanna è notevole come dimostra l’esperienza successiva al D.L.vo n. 368/2001 ove furono individuate le esigenze tecnico, produttive ed organizzative (il c.d. “causalone”) non ben esplicitate nelle lettere di assunzione cosa che portò, in un contesto normativo ben diverso dall’attuale (non esisteva un limite di durata massimo), ad una riconduzione dei rapporti a contratti a tempo indeterminato.

Alfredo Magnifico

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