La Cassazione con la recente ordinanza n. 25525 del 17 settembre 2025, ha stabilito che tutti i dipendenti pubblici, senza distinzione tra turnisti e non, ne hanno diritto a condizione che la loro giornata lavorativa superi le sei ore e preveda una pausa pranzo.
Il caso nasce da un ricorso presentato dall’Azienda Sanitaria Provinciale (Asp) di Palermo.
L’ente sanitario contestava la decisione della Corte territoriale che aveva esteso il diritto al buono pasto a tutti i suoi dipendenti con orario superiore alle sei ore.
Secondo l’Asp, era necessario distinguere i lavoratori non turnisti, che possono interrompere il servizio per una vera e propria pausa pranzo, e i dipendenti turnisti (come infermieri e medici in determinati reparti), la cui attività è spesso continuativa e non permette un’interruzione netta, per l’azienda solo i primi avrebbero avuto pieno diritto al ticket.
La Cassazione ha respinto in toto questa interpretazione, giudicandola infondata, richiamando un principio consolidato e spiegando che:” il buono pasto non è un elemento della retribuzione, ma un’agevolazione di carattere assistenziale, il suo scopo è quello di garantire il benessere fisico del lavoratore, conciliando le esigenze di servizio con quelle della vita quotidiana.
Per questo motivo, l’unica condizione per averne diritto è l’effettuazione di una pausa pranzo e come unica regola generale che l’orario di lavoro giornaliero superi la soglia delle sei ore, garantendo al dipendente il diritto a un intervallo non lavorato.
La Cassazione chiarisce che la modalità con cui viene organizzato il lavoro, sia su turni continuativi o orario spezzato, è irrilevante ai fini del riconoscimento di questo diritto.
La Cassazione ha confermato la correttezza dell’operato della Corte territoriale, la quale aveva correttamente interpretato l’articolo 29 del contratto integrativo del 20 settembre 2001, disposizione che collega in modo inequivocabile il diritto alla mensa (o al buono sostitutivo) alla fruizione di un intervallo, collegamento, che trova riscontro nella normativa nazionale, che prevede una pausa proprio per la consumazione del pasto una volta superato il limite delle sei ore di lavoro, con questa chiara impostazione, il ricorso dell’Asp è stato respinto e la sentenza precedente confermata, riconoscendo il diritto dei lavoratori a ricevere i buoni pasto per tutti i turni superiori alle sei ore.
La sentenza assume un valore di equità sostanziale e di fatto impedisce che:
· le necessità organizzative del datore di lavoro pubblico possa comprimere un diritto assistenziale del dipendente.
· il bisogno di recuperare le energie attraverso un pasto è identico, se non superiore, per un lavoratore che svolge un turno continuo e logorante rispetto a chi segue un orario d’ufficio standard.
La sentenza sposta l’attenzione dalla “modalità” della pausa alla sua “spettanza” come diritto inviolabile dopo un certo numero di ore, garantendo una tutela uniforme a milioni di lavoratori del settore pubblico e ponendo fine a interpretazioni restrittive e discriminatorie
Alfredo Magnifico