Buon compleanno “Statuto dei lavoratori”

55 anni sono un anniversario speciale per lo Statuto dei lavoratori, una bella occasione per ricordare cosa fu lo Statuto dei lavoratori e riflettere su cosa resta di un’epoca che segnò una svolta nella vita di milioni di italiani, anche alla luce della vigilia di referendum.

L’idea, di uno statuto dei lavoratori, fu concepita dal segretario generale della CGIL Giuseppe Di Vittorio, presentata al congresso di Napoli del 1952, poneva al centro la figura del “cittadino lavoratore”, con la sua personalità, le sue opinioni, la sua fede religiosa, la sua dignità, ma i tempi maturano solo quando il governo Moro ottiene a dicembre ’63, per la prima volta, l’appoggio decisivo dei socialisti.

Pietro Nenni condizionò il loro voto all’approvazione di uno Statuto dei lavoratori e affidò a Gino Giugni la stesura, insieme a Giuseppe Tamburrano, del testo di tre disegni di legge dedicati a commissioni interne, giusta causa di licenziamento e diritti sindacali.

Giugni impostò un progetto che il 15 giugno 1966 divenne il primo compendio di “Norme sui licenziamenti individuali”, con il quale si supera la regola codicistica (art. 2118 c.c.) della libera recedibilità dal contratto di lavoro subordinato, previo preavviso.

L’art. 1 della legge n. 604/66 dettò un vero e proprio principio: “il prestatore di lavoro può essere licenziato solo per giusta causa o per giustificato motivo”.

Il Sessantotto, le manifestazioni,la protesta organizzata dai braccianti ad Avola del 2 dicembre 1968, sfociata nell’uccisione di due lavoratori e il ferimento di altri cinquanta per opera della polizia, fu l’occasione per il ministro del lavoro Giacomo Brodolini, di forzare i tempi per approvare lo Statuto, Brodolini, gravemente malato, realizzò tre importanti obiettivi:

·        la mediazione nella vertenza sulle cosiddette gabbie salariali, che favorì un accordo tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria sull’unificazione progressiva dei salari nel paese;

·        la riforma delle pensioni che ancorando la pensione all’80% delle ultime retribuzioni ebbe effetti duraturi e venne modificata solo con Amato nel 1992,

·        lo Statuto dei lavoratori.

Il 14 maggio con 217 voti favorevoli, 10 contrari e 125 astensioni lo Statuto viene approvato alla Camera. Sei giorni dopo viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Brodolini morirà l’11 luglio, dopo che già da mesi aveva dovuto cedere l’incarico ministeriale a un altro ex sindacalista Carlo Donat Cattin.

Le innovazioni che lo Statuto introdusse alla disciplina del lavoro furono innumerevoli:

1.   il diritto antidiscriminatorio, a tutela delle opinioni e degli altri fattori che connotano la dignità della persona lavoratrice (artt. 1, 8, 15, 16);

2.   limite alle azioni datoriali d’ingerenza nella sfera di riservatezza individuale all’interno del luogo di lavoro (artt. 2-6);

3.   nel luogo di lavoro il riconoscimento dell’esercizio di diritti di libertà di natura personale e sindacale (10, 11, 14, 20, 21; 23 e 24);

4.    procedimentalizzare l’iter di accertamento della responsabilità disciplinare (art. 7);

5.   importare le norme imperative statutarie anche nel lavoro pubblico, che prima di allora conosceva un regime del tutto autonomo (art. 37).

L’art. 13 St. modificò l’art. 2103 c.c., delimitando lo jus variandi, riconosciuto al datore di lavoro nei presupposti legali per modificare il contenuto della prestazione lavorativa del dipendente e per trasferirlo; la nuova disciplina delle mansioni ha spostato il baricentro del controllo dalle esigenze dell’impresa all’interesse del lavoratore, per la protezione della professionalità acquisita.

L’art. 18 con la reintegrazione nel posto di lavoro era diventata l’emblema di conflitti ideologici e culturali mai sopiti, spesso strumentalizzato a favore di interventi riformatori o di movimenti di opposizione, strumento identificativo anche di una magistratura invasiva dell’autonomia imprenditoriale, tuttora fattore di divisione politica e di tutele tra gruppi di lavoratori (pubblici e privati; dipendenti di imprese grandi o piccole; subordinati e parasubordinati).

L’art. 28 “esaudiva un desiderio, diffuso tra i giudici progressisti, di incidere in qualche modo sul sociale, in funzione riequilibratrice delle ingiustizie e delle storture che per anni la classe operaia aveva dovuto subire”.

Oggi, diversamente dalla tutela reintegratoria, la repressione della condotta antisindacale è diventata quasi un totem riverito: lo ricopre un po’ della polvere del tempo per effetto delle, spesso stravaganti, forme di regolamentazione delle relazioni industriali, dell’affievolirsi dell’unità e della forza rappresentativa del sindacato, della maggiore accortezza dell’imprenditoria, della scala diversa in cui si misurano i rapporti di forza tra datore e prestatore di lavoro.

Molte norme dello Statuto presentano rughe profonde e alcune sono defunte, frutto di un’economia e di una realtà imprenditoriale completamente alterate dall’evoluzione tecnologica, dal neocapitalismo e dalla globalizzazione.

Troppi, politici, giuristi, economisti, in nome del modernismo economico, si sono alternati a tentare di scardinare variando in peius quelle certezze che lo statuto dava; dai controlli audiovisivi, alle mansioni, ai licenziamenti.

Nel nuovo scenario economico-produttivo, l’idea di una nuova disciplina del rapporto di lavoro viene coltivata non tanto nell’ottica di forme di tutela per il lavoratore, quanto fonte regolatrice del cambiamento che vede al centro della riflessione l’impresa, quale produttrice di ricchezza e di opportunità occupazionali.

L’unico tentativo di riforma assimilabile allo statuto risale al Libro bianco sul mercato del lavoro, del 2001 di Marco Biagi: evoluzione del mercato del lavoro e differenziazione delle tutele erano i due poli intorno a cui ruotava il progetto, scaturì la legge delega n. 30/2003, attuata con il d. lgs. 276/2003, Biagi non ne vide i frutti poiché, fu ucciso per mano delle Nuove Brigate Rosse il 19 marzo del 2002.

Un altro tentativo di varare un altro Statuto dei lavori fu fatto da Maurizio Sacconi, la congerie di norme via via introdotte dai governi succedutisi nel tempo e le decisioni della Corte costituzionale, che hanno superato anche l’impostazione del più recente Jobs act in tema di licenziamento, necessiterebbero di un riordino sistematico.

Il dibattito pubblico che ha investito la materia del lavoro rende impensabile la possibilità di trovare un’adesione unitariamente diffusa su linee d’indirizzo dotate di stabilità e concretezza.

Le tecnologie e la globalizzazione hanno sconvolto il mercato del lavoro, ora investito da crisi, servirebbe una moratoria normativa.

Serve una costruzione progressiva con il coinvolgimento di vari attori.

A proposito di referendum se prevalessero i consensi all’abrogazione, tornerebbe a dispiegarsi integralmente la disciplina della legge Fornero, n. 92/2012, attualmente invece sempre più residuale a causa della progressiva riduzione delle assunzioni avvenute prima del 7 marzo 2015.

Verrebbero così ad ampliarsi i casi di tutela “reale”, ben oltre le ipotesi di licenziamento nullo, e si porrebbe una pietra tombale su annose questioni ermeneutiche che la Corte costituzionale ha potuto risolvere, a oggi, soltanto in parte, serve rimettere al centro del giuslavorismo il lavoratore come persona, piuttosto che come mera risorsa, in un’epoca in cui le politiche della cosiddetta “flessibilità in entrata”, della formazione qualificante e dei controlli sulla sicurezza hanno denunciato il loro fallimento.

Alfredo Magnifico

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