Questa campagna elettorale ha provocato in me una profonda inquietudine e mi ha determinato una situazione confusa sul piano politico. Tra gli elettori,noto, una situazione d’incertezza, di timore, di paura e di rabbia, sono sicuro che il voto del 4 marzo non riuscirà a sgombrare percezioni negative né a dare un governo al paese.
Il rischio è che si possa determinare, alimentare e consolidare e sviluppare quel malessere sociale che ha investito la nostra società e ne sta disgregando gli elementi di coesione.
Che fare per tutelare l’Italia, in particolare i ceti sociali più deboli?
Le forze politiche che competono per governare il Paese le vedo più impegnate a scornarsi tra di tra loro che a ipotizzare, pur nelle differenze, elementi di coesione.
Il vincitore deve sapere che non si dà governabilità senza che si determino elementi di tenuta sociale,avviando magari, un processo di coinvolgimento di forze sociali, sindacati,imprenditori e associazioni.
Occorre che le varie proposte avanzate da sindacati e Confindustria trovino profonda convergenza, non sono sufficienti incontri ne documenti elaborati e diffusi dalle confederazioni sindacali,(riproposti in vecchie salse con la sensazione di un già visto/detto), serve che forze sociali escano dall’autoreferenzialità difensiva, che condiziona agire e proposte e diventino pungolo delle forze politiche.
Non è una Chimera sognare una “stagione di riforme”, se si fa una valutazione attenta razionalmente e socialmente critica delle riforme fatte, salvando i punti di forza, correggendo contraddizioni e debolezze, coscienti che non sono possibili riforme coesive senza coinvolgimento di tutte le forze sociali.
La storia politica italiana e il modello di democrazia hanno visto sempre, nei momenti critici, assunzione di responsabilità delle organizzazioni sociali.
Lontano da me voler riproporre il vecchio modello di concertazione che in epoca storica precedente ha funzionato, occorre, però, elaborare contenuti di un patto sociale che affronti la complessità del nostro tempo.
Quando la politica entra in crisi e l’incertezza predomina, il malessere sociale si estende ampliando i risentimenti facendo prevalere interessi particolari,i restringe la ricchezza si moltiplica la miseria.
Oggi nessuno può permettersi di arrendersi o mettersi da parte a contemplar il succedere degli avvenimenti, sperando nella buona “stella”.
Questo è il momento per chi crede nell’Italia e nella democrazia di entrare in campo e cercare di contribuire ad evitare che dopo il 4 marzo si precipiti in una paralisi politica devastante.
Se vogliamo l’Italia guarita delle ferite, subite dalla grande recessione, e rilanciata, occorre, oltre l’economia affrontare le questioni sociali che travagliano la società, ricostruire valori e dimensione etica per consentire a persone e ceti sociali deboli di partecipare con dignità alla “grande trasformazione” preannunciata dall’incipiente rivoluzione digitale.
Occorre affrontare la questione occupazione, (soprattutto giovanile), che richiede interventi a breve periodo, senza paura di sbagliare, pensare a quale modello sociale avviare per far convivere persone e imprese nei nuovi processi di globalizzazione e d’innovazione tecnologica.
La rivoluzione digitale è presente nell’immediato e con forti ricadute sul lavoro in termini di occupati e di competenze, sarà un processo che si preannuncia radicale, da stravolgere la nostra concezione; di lavoro, di fare impresa e di vivere insieme,occorreranno nuove conoscenze, informazioni e poteri, per avere controllo democratico e non stravolgere il modo di pensare e gestire affari, economia, modalità di governo e impegni politici.
La conseguenza sarà il modo in cui persone comuni, lavoratori, manager, dirigenti e imprenditori, interagendo tra loro affronteranno i cambiamenti anche senza coscienza.
Nuova tecnologia e mondo digitale rivoluzioneranno modo di vivere, relazioni e produzione e costringeranno giorno per giorno il sistema produttivo privato e pubblico a fare i conti con la mutevolezza delle preferenze delle persone e modificheranno valori e modelli di distribuzione.
Non si tratta di piccoli cambiamenti ma di processi imponenti tali da modificare in modo radicale il mercato del lavoro, diminuiranno drasticamente numero di occupati e aumenteranno disparità salariali.
Solo una maggiore coesione sociale potrà evitare che molti rimangano esclusi e alimentino ribellione capace di mettere a rischio progresso tecnologico e istituzioni democratiche.
Le forze sociali sono chiamate a costruire un futuro condiviso per evitare che si produca un’eccessiva frammentazione sociale con conseguenza di accrescere disuguaglianza e povertà.
È importante discutere di fisco, pensioni e welfare, accentuare il tema investimenti e opere pubbliche, però diventa sempre più impellente affrontare con criteri umanitari e rispetto della dignità delle persone le vicende dell’immigrazione.
Non serve giurare sul Vangelo e mostrare la corona del rosario in una manifestazione in cui si alimentano pensieri di ben altra natura,occorre un impegno capace di generare una nuova coesione sociale che ruoti attorno al valore della solidarietà.
Alfredo Magnifico