Liberaluna Onlus/Comunicare la violenza: l’informazione appropriata

Dal 1995, il Global Media Monitoring Project – il più ampio studio a livello mondiale sulla rappresentazione delle donne nell’informazione mediatica, promuovere il cambiamento nel modo di rappresentare le donne nei mezzi d’informazione: l’obiettivo (o la speranza!) è la cancellazione del sessismo nei media entro il 2020 (End media sexism 2020) attraverso la decostruzione degli stereotipi al fine di favorire un immaginario più realistico, inclusivo e democratico, a beneficio della società.

Nello stesso anno la IV Conferenza mondiale sulle donne di Pechino ribadisce che i diritti delle donne rientrano nei diritti umani inalienabili, affermando il valore universale del principio di pari opportunità fra i generi e il valore della non discriminazione delle donne in ogni settore della vita pubblica e privata.


Ma un punto fondamentale della Conferenza di Pechino riguarda il ruolo strategico dei media: “in tutto il mondo i mezzi d’informazione potrebbero contribuire al progresso delle donne”; si approva così la Piattaforma dei diritti delle donne nell’ambito della comunicazione e dei media con lo scopo di accrescere la partecipazione delle donne nei processi decisionali della comunicazione e promuovere un’immagine equilibrata e non stereotipata delle donne nei mass media.


Il tutto si traduce in azioni di prevenzione, sensibilizzazione, educazione alla parità di genere perché, ancora oggi, siamo molto lontani dall’obiettivo del GMMP. Una ricerca resa nota dal Parlamento Europeo del 2018 dimostra che nelle storie provenienti da fonti d’informazione le donne sono soprattutto interpellate per fornire un’opinione popolare (nel 41% dei casi) o un’esperienza personale (38%) ma raramente sono citate o intervistate in qualità di esperte: soltanto nel 17 % dei casi.


Infatti, a conferma di tutto ciò, GMMP ha rilevato una sotto rappresentazione e marginalizzazione delle donne nei media: in particolare in quelli tradizionali l’informazione dovrebbe evitare preconcetti e rappresentazioni sbilanciate e gerarchiche che forniscono un’immagine centrata sul ruolo predominante dell’universo maschile.


Quando si racconta di una violenza, di un omicidio riguardante donne, ci si sofferma sulla morbosità dell’azione, sui raptus di gelosia, sui gesti finali ed estremi che conducono alla violenza ponendo la vittima in una posizione in grado di suscitare pietismi o rabbia senza tenere conto del reale percorso: solitamente l’uomo violento è riconosciuto come il carnefice di una relazione “malata”, poco equilibrata, e la donna vittima come il soggetto sì debole ma che in una certa misura ha “provocato”

quella reazione. Spesso le immagini a supporto di servizi di cronaca tendono a scavare nella vita della vittima (chi era, cosa faceva, che stile di vita conduceva, come si vestiva…), quasi per enfatizzare l’atto estremo, forse per giustificarlo.

L’esposizione della vita privata è funzionale solamente al sensazionalismo di certe notizie quando, invece, su certe vicende bisognerebbe riflettere in modo appropriato su quanto spesso sia già indirizzato in un certo modo il linguaggio usato, l’accento su dinamiche tipicamente – ma spesso involontariamente – sessiste, sulla puntualizzazione della posizione sociale e su altri dettagli che più che raccontare l’accaduto emettono sentenze.


Ogni racconto, ogni storia, va contestualizzata, ad ogni vittima va restituita una dignità che è venuta meno con l’atto violento; bisognerebbe ingentilire i toni in ogni situazione della vita sociale, magari pianificando una formazione e una preparazione di esperti in redazione: un primo passo è stato fatto nel 2017 con il Manifesto delle giornaliste e dei giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell’informazione contro ogni forma di violenza e discriminazione attraverso parole e immagini al fine di concretizzare una presa di responsabilità personale in caso di errori nella trattazione di questa materia.

Cosa non sempre possibile e realizzabile quando certe notizie passano e si diffondono attraverso i social-media: la comunicazione rapida ed immediata che passa su di essi è spesso non verificata, le fonti non attendibili, le immagini tagliate ad hoc per creare un certo sensazionalismo e così via; una deriva comunicazionale che molto ha a che fare con una carenza di capacità critica che non ci avvicina, purtroppo, all’obiettivo End media sexism 2020.
Dott.ssa Luisa Iammatteo – Addetta alla comunicazione Liberaluna Onlus

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