Il licenziamento di “Giusta causa” tra storia e attualità, Bregantini : appello alla società civile

 Il licenziamento di “Giusta causa” tra storia e attualità è il tema del convegno organizzato dall’assessorato regionale al lavoro e delle politiche sociali guidato dall’Assessore Michele Petraroia che  ha  curato la ricerca  sull’atto fondativo del Comune di San Bartolomeo in Galdo del 1331- 1360 anticipando di 600 anni lo Statuto dei diritti dei lavoratori. Il convegno di studio sul ruolo di due abati del Molise, Nicola da Ferrazzano e Nicola da Cerce e dell’Abbazia di Santa Maria del Gualdo fondata da San Giovanni Eremita  da Tufara (CB) che hanno elaborato l’art.69 di tale Statuto,  si è svolto venerdì 12 dicembre 2014 presso la Sala del Parlamentino della Presidenza della Giunta regionale del Molise, in via Genova a Campobasso. Dopo i saluti delle autorità  gli interventi di importanti relatori, docenti in materia di diritto del lavoro e storia del diritto italiano e rappresentanze sindacali del Molise. Per la  Commissione per il Lavoro, Giustizia e Pace della CEI interverrà il Presidente S.E. mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso – Bojano  che, alla luce di quanto sta accadendo in Italia e sulle recenti riforme in materia,  tratterà la tematica del Lavoro e del precariato sul piano etico sottolineando l’importante ruolo che hanno avuto i due religiosi molisani antesignani dello  statuto dei diritti dei lavoratori. La ricerca sul ruolo dei due abati è stata svolta presso la biblioteca vaticana attraverso il Codice Vaticano Latino scritto dall’amanuense Eustasio tra il 1203 e il 1215. Il rilievo culturale, storico e sociale di tale ricerca deriva dalla scelta di inserire nello Statuto di allora, norme a tutela delle “donne, dei fanciulli, del lavoro e dei più deboli”. Nello specifico, l’art. 69 di tale Statuto disciplina la “Giusta Causa” come motivo fondato per licenziare un lavoratore.  L’attualità di tale normativa a difesa del “lavoratore” riguarda l’attenzione e la promozione della persona nella sua dignità di lavoratore e promotore di valori di Pace  come di recente ha evidenziato il Santo Padre papa Francesco nel messaggio per la Giornata  Mondiale della Pace 2015. Un appello Universale alla società civile:  “malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.
Penso a tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori, a livello formale e informale, dal lavoro domestico a quello agricolo, da quello nell’industria manifatturiera a quello minerario, tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione tutela il lavoratore.
Penso anche alle condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente. Penso a quelli tra di loro che, giunti a destinazione dopo un viaggio durissimo e dominato dalla paura e dall’insicurezza, sono detenuti in condizioni a volte disumane. Penso a quelli tra loro che le diverse circostanze sociali, politiche ed economiche spingono alla clandestinità, e a quelli che, per rimanere nella legalità, accettano di vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando le legislazioni nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del soggiorno al contratto di lavoro… Sì, penso al “lavoro schiavo”.
(…)lancio un pressante appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, e a tutti coloro che, da vicino o da lontano, anche ai più alti livelli delle istituzioni, sono testimoni della piaga della schiavitù contemporanea, di non rendersi complici di questo male, di non voltare lo sguardo di fronte alle sofferenze dei loro fratelli e sorelle in umanità, privati della libertà e della dignità, ma di avere il coraggio di toccare la carne sofferente di Cristo12, che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro che Egli stesso chiama «questi miei fratelli più piccoli» (Mt 25,40.45).
Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fratello?” (cfr Gen 4,9-10). La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone nelle nostre mani”

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