#corpedelascunzulatavecchia/La salsa, ovvero la CUNZERVA

Forse sono arrivato un poco “lungo”, come periodo, per scrivere un articolo di ricordi sulla “cunserva”. No sulla salsa, la “cunzerva”. A me piace dire così per quell’effetto di un continuo frullare di ricordi che si addensa nella testa, più o meno di tutti noi.

La “cunzerva” si usava fare nelle nostre case per conservare, perciò non mi piace salsa, per i lunghi mesi invernali che, come sappiamo da noi sono MOLTO lunghi. Lunghi assai.

La salsa a differenza di altri lavori di “conserva” in casa era un prerogativa prettamente femminile. Per esempio: la vendemmia con il vinificare era maschile, la lavorazione del maiale con relativa preparazione dei salumi vedeva l’impegno dei due sessi nel lavoro, la “cunzerva” vedeva il momento magico delle donne.

A capo dell’equipe che lavorava c’era la “matriarca” di casa, la persona anziana che poi avrebbe cucinato il ragù con la salsa, pardon, LA CUNSERVA. Quindi, dicevamo il primo momento era quello del lavaggio delle bottiglie. I pomodori, attori principali di
questi momenti, erano stati raccolti in vari momenti. I pomodori non sono come il grano e/o l’uva. I pomodori maturano in momenti diversi e quindi sono necessarie più raccolte se si vuole un ortaggio maturato al sole in maniera naturale.

Se poi ci si accontenta della chimica allora è sufficiente irrorare il campo di pomodori con materiale chimico farli diventare rossi, non maturare, tutti insieme. I pomodori “artificiali” li si riconosce dal colore non completamente rosso e dalla diversa grandezza. Quando irrorano maturano anche le radici delle barbabietole del campo del loro vicino.

“Dissertato” sui pomodori, eravamo rimasti al lavaggio delle bottiglie. Lavate e sciacquate le bottiglie finivano “a capa sotto” in cassette e le si ricopriva con degli strofinacci (le mappine) per proteggerle dalla polvere.

Finito il lavaggio delle bottiglie il giorno dopo, massimo due giorni dopo, si procedeva alle operazione della CUNZERVA. Il primo passo era lavare i pomodori e lì scattava la voglia dei bambini cui non sembrava vero di poter sguazzare con le mani in bacinelle colme di acqua e magari anche far cadere l’acqua sui piedi. Di solito i pomodori si lavavano passandoli in tre bidoni facendoli stare in ammollo per qualche minuto. Una delle leggende metropolitane racconta che dei signori misero a bagno i pomodori ed andarono a fare il caffè, al loro ritorno trovarono i pomodori completamente stinti, l’acqua rossa ed i pomodori che erano diventati verdi … di nuovo.

Classico effetto della maturina che non aveva “attecchito”… per così dire. Comunque, se i pomodori non “scolorivano” si passava alla fase di cottura del rosso ortaggio. Cottura che
avveniva secondo abitudini diverse e diversi modi di operare. La cottura più classica era quella fatta nella caldaia (la chettora) per poi “passare” i pomodori nella macchinetta e quindi ricavarne il prelibato nettare da imbottigliare una volta raffreddato, nelle bottiglie predisposte con basilico e prezzemolo.

Quello di inserire basilico e prezzemolo nelle bottiglie e di girare la manovella della macchinetta in epoca per me “cenozoica”, quando ancora non esistevano le macchinette elettriche, era un compito per i bambini.

Compiti dati per farli sentire importanti o per farli stare fermi e zitti, mai è stato dato sapere ciò. A tutte queste operazioni sovrintendeva la matriarca di casa che si assicurava: del grado di cottura della salsa, della sapidità, dello stato delle bottiglie che dovevano essere rigorosamente asciutte sino all’inverosimile. Altro compito cui la matriarca non si tirava indietro, anzi era obbligata, era chiedere a tutte le “aiutanti” se si trovassero in quei “particolari giorni”. Adesso le ragazze giocano a pallavolo ed a tennis
anche in “quei giorni”, allora non potevano fare le conserve. Non so se “l’usanza” sia continuata o meno.

Finito l’imbottigliamento della CUNSERVA si aspettava la disponibilità dell’uomo di casa per chiudere la bottiglie con i tappi a corona. L’operazione di “attappare” era uno dei pochi momenti che permetteva all’uomo di casa di entrare in “campo” con la salsa. Forse per una specie di timore nei confronti della macchinetta per chiudere le bottiglie, o forse per un misto di forza ed altro che si doveva avere per utilizzare la macchinetta. Io, da parte mia, ho sempre fatto tutto nella preparazione della salsa.

Una volta “attappate” le bottiglie e chiusi i barattoli di pezzettini e pelati, si deponevano tutti i vetri nella caldaia dove erano stati prima messi dei sacchi di iuta, si mettevano le bottiglie ed i barattoli, dicevo, e si riempiva di acqua. A questo punto entrava in gioco un altro uomo, di solito l’anziano, il patriarca, per alimentare il fuoco.

Certo perché “attizzare” il fuoco era un’arte che non era alla portata di tutti. Bisognava portare ad ebollizione l’acqua de LA CHETTORA, e poi mantenere il bollore per circa un’ora. Quando LA CHETTORA arrivava al primo bollore scattava il panico: per stare a contatto con l’acqua e con i pomodori nessuno aveva l’orologio. Si era costretti a correre dentro casa e prendere al volo il primo orologio a portata di mano per calcolare l’ora di bollore.

Il fuoco, una volta era fatto con fascine di cippatto (le ceppe) e doveva essere fatto con perizia e con calma. Poi arrivarono i fornelloni a gas e diventammo tutti bravi quando si trattava di abbassare o alzare la fiamma. Dimenticavo: il bollore non doveva essere altissimo per evitare che le bottiglie esplodessero e partisse, così, una piedi grotta tutta campobassese per festeggiare non si sa quale santo ricordato nelle “preghiere” di chi aveva perso belle bottiglie per saporitissimi ragù.


Una volta che si aveva a disposizione la brace era d’uopo utilizzarla per arrostire le pannocchie del granturco oppure i peperoni da mettere, in tempi moderni, nel congelatore. Infatti era faile trovare dai fruttivendoli in questi periodi oltre che cassette di salsa, anche cassette di peperoni proprio per questo motivo.

Il tutto si concludeva il giorno dopo, quando le bottiglie erano raffreddate, si toglievano da LA CHETTORA di rame che veniva pulita (remunnata) con sale grosso ed aceto per pulirla e disinfettarla.

Queste operazioni nelle case dei contadini si ripetevano più volte durante l’estate perché, come dicevo, i pomodori non maturano tutti insieme. Quindi di procedeva a fare la salsa appena pronti dei pomodori tali da poter garantire il riempimento di una CHETTORA.

E mò? E mò vanne a magnà addo Cracco: uno spaghetto che con il pomodoro non ha niente a che vedere, ma che te lo fann pagare almeno cinquanta euro, sennò non è buono. Tempi moderni e che cambiano. Statevi arriderci, sempre con affetto e stima.


Franco di Biase

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