Al teatro del Loto in scena “Il Saul” di e con Stefano Sabelli

“Pratico” il Saul da oltre 30 anni. Da quando, ventiquattrenne di bella prestanza, da pochi anni diplomato all’Accademia, feci un provino con Renzo Giovampietro che m’affidò il ruolo di Gionata in una tournée che portò quella versione dell’opera di Alfieri, da un capo all’altro d’Italia. Era il 1980. Ero un giovane attore d’impeto e di grandi ideali (almeno così mi credevo), che amava il Théâtre du Soleil, Giorgio Strehler, Peter Brook e i maestri dell’avanguardia e, come tanti della mia generazione, i Beatles e i Rolling Stones. Un giovane attore, cresciuto ribelle, che ebbe un innamoramento immediato per gli endecasillabi alfieriani, perché i versi di Alfieri sono i più belli che si possano recitare nel Teatro italiano e trasmettono impeto, fuoco, passione. Le sue opere (soprattutto Saul) sono fra le più potenti mai scritte da nostro drammaturgo e, per le tragedie almeno, è Alfieri il nostro Shakespeare!
Un paio d’anni dopo quella tournée, interpretai pure Prosperino ne Il DIVORZIO (unica commedia del Bardo di Asti) con la regia del mio caro maestro Orazio Costa e l’endecasillabo ancor di più divenne il mio esercizio attoriale preferito. Ma è il Saul che, in un modo o nell’altro, ho sempre ripreso, praticato e avuto nel destino.  Ho inserito sue parti nel mio Tamburi di Guerra, sorta di musical percussivo che debutto ad Asti Teatro nel 2000, in cui utilizzai gli endecasillabi alfieriani a mo’ di libretto d’opera sull’esecuzione di “V^ Costruzione” di John Cage (magistralmente eseguita dal vivo da Percussioni Ketoniche), fra cui il bellissimo monologo iniziale di David e lo struggente addio fra Micol e David del V° Atto.
Oggi, dedicandomi alla messa in scena totale dell’opera, approdo pure all’interpretazione del suo ruolo principe, a quel ruolo, che fece dichiarare allo stesso Alfieri: “…in Saul, vi è di tutto, di tutto assolutamente”.
Un ruolo, inseguito, spiato, preparato e messo a fuoco nel tempo, già stando in scena e facendo miei gli sguardi e le diverse prospettive sul Re d’Israele – “unto del Signore” per meriti guerrieri – degli altri ruoli dell’opera che da giovane ho avuto la fortuna d’interpretare: Gionata, nell’intensa versione illuminista e neoclassica di Giovampietro, e David nel mio spettacolo, florilegio d’autori che hanno trattato “la guerra” in ogni forma poetica e letteraria. Poi, anche la versione in bianco e nero della RAI di un tempo che fu – con protagonista un già modernissimo e inarrivabile Salvo Randone, “cui fean eco” le invettive, superbe per asciuttezza, di un giovane e lanciatissimo Gian Maria Volontè – mi è stata, in effetti, d’utile riferimento.
Tutti i ruoli del Saul, David, Gionata, Micol e Abner – parti bellissime e gratificanti per qualunque attore e attrice giovane – come pure il Sacerdote Achimelech, dalla loro prospettiva, tutti già raccontano “assolutamente” di Saul e del suo “tutto”. Rivelano cioè, da diversi punti di vista, la complessa figura umana e storica del protagonista e aver avuto l’opportunità in passato d’interpretare Gionata e David, come pure quella d’aver diretto le attrici che sono state Micol in Tamburi di guerra m’ha fatto innamorare ancor più profondamente dell’opera di Alfieri e del suo protagonista. Esperienze che mi tornano oggi fondamentali per interpretare io stesso il ruolo di Saul e per curare la regia dell’opera tutta. Saul è per altro un ruolo straordinario e sfaccettato per qualunque attore d’esperienza e Alfieri, già un secolo prima dell’avvento della psicoanalisi, nell’opera affronta il tema della follia e dei patologici e repentini cangiamenti d’umore della mente umana, con analitica e sublime maestria.
Certo, non è Saul ruolo per un attempato e stanco attore borghese, perché Saul ti consuma dentro, ha bisogno di lunghi tempi di prove e d’assimilazione. Ha bisogno di energie furiose, per essere dominato e portato a “giusta temperatura”. I suoi straordinari e rotti endecasillabi, vanno resi lingua vera, organica, non enfatico birignao. Alfieri, stesso nella Vita, rimarca che sul piano stilistico, i versi delle sue tragedie “non devono essere languidi, triviali, prolissi, slombati, fluidi, ma energici, maschi, feroci.” Solo un feroce esercizio a rendere crudi ed energicamente vitali gli endecasillabi, consente poi il cambiamento repentino, primordialmente fanciullo, del suo stato d’animo, che va indagato, esercitato, ricreato e rivissuto in scena in modo totalmente coinvolgente per assurgere a verità. Gli endecasillabi, resi sassi da fionda (in omaggio a David) permettono di evidenziare in scena tutte le umanissime, patologiche contraddizioni del personaggio Saul:
-Saul, alle prese con i fantasmi della sua passata grandezza, nella cui mente, nel momento dell’inevitabile declino, monta furiosa l’invidia e la gelosia per David, pur suo figlio acquisito e genero;
-Saul, che vive e soffre l’antagonismo col suo Campione, come lui “unto dal signore”, non tanto perché questi è il Campion degli uomini ma perché, più di lui, assurge a Campion di Dio e del clero, vero nemico, in fondo, del laico, guerriero Re d’Israele;
Saul, che rivede nel suo guerriero più fedele e valoroso, già abile cantore delle sue gesta, il se stesso che è stato, apparendoti – nello specchio della vita – come un altro te;
-Saul, che male accetta il volgere degli anni ed è in conflitto d’emozioni con gli stessi figli, che ama e cerca di proteggere, sollecitandone l’ambizione al trono ma di cui, al contempo, frustra la libera autonomia di pensiero, azione e vita, specie nel loro amore per David;
-Saul che scaccia i figli ma infine li dichiara innocenti “del suo fallir”;
-Saul personaggio così antico e moderno nelle sue contraddizioni e nel suo travaglio generazionale che, pur nella caducità, resta personaggio potente, ricco di un’energia folle e pervasiva, come forse nessun altro personaggio della tradizione tragica italiana;
-Saul che, nella scena del suo martirio finale, riscatta con laica fierezza e consapevolezza d’eternità, la sua tirannide e la sua esistenza, liberando il suo arbitrio, davanti all’ineluttabile.
Una scena, questa, che copre quasi tutto il V atto ed è proposta in abiti settecenteschi per un omaggio ancor più evidente allo stesso Alfieri (nei salotti fiorentini, amava interpretare e immedesimarsi egli stesso nel suo ruolo più amato e riuscito) e che si sviluppa sull’incedere del Requiem di Mozart, quasi a sottolineare un fil Rouge, che corre fra due geni assoluti di fine ‘700, come il Poeta d’Asti e il mago dei suoni di Salisburgo.  Due geni che, con reciproco, diverso e inarrivabile talento, hanno saputo indagare come pochi, fra i fantasmi della mente e nell’oscurità della vita e della morte.
Due geni che, attraverso le rispettive arti, trascinano impetuosamente il volgere estremo del secolo dei lumi verso i colori foschi e intensi del Romanticismo, di fatto, inaugurando, la modernità nell’Arte.
Saul personaggio, dunque, che mi permette, infine, di realizzare il SAUL (opera e spettacolo) del Teatro del LOTO, in una messa in scena curata con grande amore, credo, in ogni dettaglio.
Per la scenografia, imponente e lineare a un tempo, mi sono ispirato all’utilizzo del legno grezzo di Mario Ceroli realizzandola tutta con bancali e pallet di abete riciclato.  Ho inteso ricreare così una collina di Gelboé metafisica, eppur epica (or campo ad Israel che a fronte stà dell’empia Filiste), dove i diversi piani scenici favoriscono la spazialità dei quadri e dell’azione degli attori, mentre l’impatto del legno grezzo mi pare ben assolva a una teatralità di viscere, indefinita e senza tempo.  Certamente caratterizzano e imbelliscono questa scenografia le molteplici silhouette lignee di animali a grandezza naturale che vi si stagliano e che, come neutri osservatori delle umane tragedie, aiutano a evocare una sorta di Arca di Noè, pronta ad inglobare passato e futuro di un lembo di mondo, la valle del Giordano, che da sempre segna, nel bene e nel male, i destini delle tre religioni monoteiste e dell’Umanità.  A ispirare il disegno e l’utilizzo degli animali in silhouette, anche qui mi è stata utile la lezione artistica di Ceroli, come pure del mio conterraneo e compianto amico Gino Marotta.  Una scena lignea che prende di volta in volta forma e luce stagliandosi sul bellissimo cielo neoclassico riprodotto da un bozzetto in olio realizzato, per questo Saul, dall’amico Giovanni Tommasi Ferroni .  Un cielo che dal buio via via s’indora, s’accende o imbrunisce, scandendo l’unita aristotelica di una tragedia che s’apre e muore nell’arco di una giornata: dalla primissima alba alla notte fonda.
Una scena di legno naturale, neutra e calda a un tempo, su cui ben si stagliano i costumi creati con Laura Riccardi e Chiara Ravizza (giovani e preparate stiliste). Reinventano abiti guerrieri rappresentativi d’ogni epoca, evocativi al contempo di climi biblici, neoclassici, come pure delle continue intifade dei giorni d’oggi, con la volontà di sottolineare continuità negli eroismi e nelle nefandezze che tutte le guerre animano e portano con se. Soprattutto in quella fascia di terra che, dal Sinai all’Anatolia, rappresenta la culla e il multiforme destino dell’Uomo mediterraneo.
Fortunata e appropriata, poi, è stata la scelta degli attori.
Mi ha permesso di lavorare a lungo e in profondità con una compagnia giovane, bella, piena di talento, che si avvale della fresca ed energica consapevolezza attoriale di neodiplomati alla Scuola Nazionale di Cinema (Giulio Rubinelli e Gregorio De Paola) o di ex allievi cresciuti e accuditi alla Scuola Propedeutica d’Arte Scenica del LOTO, anche e soprattutto scuola di vita (Bianca Mastromonaco e Fabrizio Russo, già vocalist di Riserva Moac), oltre che con amici e compagni, già interpreti di diversi miei lavori (Pasquale Arteritano e Aldo Gioia).
Attori, pur molto giovani, che non si sono spaventati degli endecasillabi, ma che piuttosto mi hanno assecondato nella ferrea volontà di renderli, nel rispetto di suono e metrica, linguaggio quotidiano, accessibile anche per il pubblico di oggi.
Il tentativo più riuscito, credo sia stato di mettere piuttosto in luce i versi di Alfieri come lingua scenica organica, meravigliosamente musicale e d’intensa narrazione. Un po’ quel che fanno gli attori inglesi con i versi di Shakespeare.
Personalmente reputo l’endecasillabo, per sintesi concettuale e ricchezza di sonorità, ancora oggi il più alto e creativo dei linguaggi scenici italiani: un verso perfetto (specie in Alfieri), ricco di suoni, ritmico, aspro e coinvolgente, da sempre adattissimo alla narrazione epica.
Nel nostro caso, la capacità d’evocazione ritmica e sonora del verso alfieriano è ancor più rimarcata dallo straordinario contributo che danno allo spettacolo le musiche, eseguite dal vivo dal fantastico ensemble dei fratelli Miele (Angelo, Alessandro e Maria), un trio di assoluto livello internazionale che anima in modo struggente e vitale questo SAUL. Rivisitando partiture di John Williams, di Sollima, di tradizionali kletzmer, oltre che del già citato, inarrivabile e incompiuto Requiem, il Trio Miele (cello, violino e bajan) crea la bellissima colonna sonora del mio SAUL, fortemente essenziale allo stesso e che, talvolta anche direttamente in scena, anima e scandisce i tempi e i climi degli endecasillabi, sottolineandone ancor più la forza e la potenza evocativa.
A 34 anni dall’ultima edizione italiana, quella di Giovampietro – maestro, cui dedico questa nuova versione del capolavoro del Bardo di Asti, per quanto amore per Alfieri mi ha trasmesso – credo che il SAUL del LOTO possa proporsi come un’arrembante e sorprendente nave pirata nell’attuale panorama teatrale italiano.
In un’epoca dominata da Social e facili consumi, fare del verso in undici sillabe, così straordinariamente efficace per suono e sintesi, il proprio credo teatrale può forse sembrare antistorico. In realtà, credo, sia un’impresa che rivitalizzi e proietti nel futuro la ricerca teatrale del Libero Opificio Teatrale Occidentale: il Teatro del LOTO.
Un’impresa che può ancor più dimostrare che dal più bel Piccolo Teatro d’Italia – quello spazio unico e straordinario che abbiamo inaugurato a Ferrazzano, Molise – può arrivare in versi un segno importante per continuare ad amare e praticare un mestiere bellissimo che sempre ti tiene a contatto con gli umani destini.  Per dirla con Saul: “Bell’alba è questa!” ( Stefano Sabelli)

info e prevendite:
Teatro del LOTO cell. +39 339.7766634
Libreria MONDADORI via Pietrunto CB tel. 0874.413757
Ass. Il PENTAGRAMMA Boiano

31 ottobre, 1, 2, 15, 16, 17 novembre

feriali ore 21.00, domenica ore 18.00

Compagnia del LOTO  presenta  SAUL di Vittorio Alfieri

Regìa, scene e costumi STEFANO SABELLI
SAUL Stefano Sabelli
GIONATA Gregorio De Paola
MICOL Bianca Mastromonaco
DAVID Giulio Rubinelli
ABNER Fabrizio Russo
ACHIMELECH Pasquale Arteritano

Musiche dal vivo del TRIO MIELE (Angelo Miele – fisarmonica -, Maria Miele – violoncello -, Alessandro Miele – violino -)

Aiuto Regìa Gianmarco Galuppo
Aiuto Costumi Laura Ricciardi
Luci Andrea Ziccardi
Service Music Service

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