Time Out/ Il basket campobassano dagli anni 70′ agli anni ’90: Alfio Romito

di Stefano Manocchio

La scelta dell’ultimo giocatore da intervistare, tra quelli che hanno vissuto l”esperienza del basket campobassano negli anno d’oro, non è stata casuale, ma ha motivazioni certe. Alfio Romito può essere considerato a ragione l’alfiere della squadra rossoblù di allora, la memoria storica di quel periodo, avendo indossato per dieci anni la canotta campobassana e affezionandosi a tal punto alla città da decidere di rimanerci a vivere. Senza voler fare paragoni forzati, può essere considerato il Totti del basket campobassano, il capitano d’eccellenza. Vediamo innanzitutto come è maturata la sua decisione di venire a giocare nel capoluogo molisano.

“Arrivai a Campobasso dal Napoli Basket che era l’erede della Partenope; da giovane ero una testa calda, poco rispettoso delle regole e l’allenatore delle giovanili del Napoli mi mandò a giocare in serie C a Torre del Greco; feci una buona figura, giocando bene. Poi sono stato a Ragusa in serie B e ad Osimo. La squadra napoletana salì in serie A e prese Nico Messina, poi come allenatore Arnaldo Taurisano e giocai in A, ma ci furono subito problemi contrattuali e mi arrivò la telefonata di Antonio Varrone da Campobasso. Io non conoscevo la città e ci arrivai per caso. Il primo anno -continua Romito – era stata neopromossa in C con Montano allenatore; nel 1982/83 si allestì una squadra di ‘forestieri’ e fu un campionato positivo. Alla fine sono rimasto per tutto quel bellissimo periodo, fino all’epilogo della cessione del titolo al Pozzuoli. Il ricordo è molto bello siamo arrivati sino alla B d’Eccellenza e giocato contro grandi squadre di società blasonate”.

Quali sono stati gli ingredienti che hanno permesso al basket campobassano di ben figurare in campionati di alto livello e anche per diversi anni?

“La passione di un gruppo di amici, dai fratelli Di Vico a Varrone, Sardelli, il compianto Carlo Antonelli, Pedata egli altri; solo a Ragusa ho vissuto una situazione simile ma molto più breve. Io avevo vent’anni e mi colpì molto questo fatto. Aggiungiamo una buona dose di sostegno economico, con la possibilità di avere giocatori forti e di categorie superiori e poi il presidente Franco Di Placido, persona appassionata ed eccezionale, sanguigno: lo ricordo con affetto perché per me è stato come un secondo padre e purtroppo non c’è più. Il Palavazzieri era un fortino con un pubblico molto caloroso a ridosso del campo; c’è stata una concomitanza di eventi che ci ha permesso di rimanere all’apice per molto tempo”

Alfio Romito in azione sotto canestro

E i motivi della fine quali sono stati?

“In verità anche l’anno della cessione del titolo lo avevamo iniziato alla grande con Bocci in panchina, che era un allenatore molto bravo, ma che non aveva contezza di squadre vincenti perché le sue di solito lottavano per la salvezza e riusciva spesso a farle salvare, ma erano appunto situazioni diverse. Chiedeva sempre di più e nel girone di ritorno ci fu il crollo e la catastrofe. Probabilmente si erano prosciugate le casse a causa di quel forte impegno economico e non venne il supporto di altri imprenditori; inoltre il nuovo palazzetto non venne realizzato e l’idea è tramontata definitivamente. Mandare avanti quel discorso non è stato possibile probabilmente perché tutto era diventato troppo oneroso”.

Sei rimasto a vivere a Campobasso

“Mi sono subito trovato bene, la città era tranquilla, l’ambiente familiare e dopo alcuni anni ho iniziato a lavorare e ancora gestisco un’impresa. Non sono voluto andar via, anche in sedi importanti, perché ritenevo di dovermi misurare in altri ambiti. C’era calore umano, il pubblico ci osannava e mi fa piacere ricordarlo; ancora mi riconoscono per strada, dopo decenni”.

Di fatto non hai voluto proseguire la carriera

“Sono stato un anno in B2 a Benevento, poi ho smesso. Ho dato una mano ad Umberto Anzini con il Ferentinum, ma con un impegno a livello amatoriale; mi sono allontanato dal basket, anche se ho seguito per qualche anno mio figlio che giocava. Ho costituito una società che ha affrontato il campionato di serie C; ma avevo conosciuto il meglio e quello era il mio riferimento e non mi sono voluto adattare alla situazione minore”.

Hai rimpianti?

“Non direi, anche se ho bruciato tante situazioni importanti; a 15 anni ero nel giro della nazionale giovanile e potevo entrare nel roster della prima squadra, ma mi mandarono via dal ritiro per motivi disciplinari. Dopo un importante torneo a Vasto ero entrato nell’orbita dei migliori giovani, ma non volevo sacrificarmi. Se dovessi tornare indietro rifarei tutto perché ho giocato, mi sono divertito e non ho rinunciato a niente”

Come era la vita con il gruppo della squadra?

“Il primo anno è stata un’esperienza nuova in un ambiente che dava tanto calore; poi passammo tutti in un unico appartamento e ci divertivamo molto, giocando anche a carte ininterrottamente fino alla mattina. Io ho rinunciato a carriere gratificanti per dimostrare che anche a Campobasso avrei potuto fare bene, ho giocato 10 anni con la stessa società e sono stato il collante tra i giovani e l’ambiente e fatto da chioccia ai giovani. In campo mi sentivo un leone, il palazzetto era inespugnabile”.

Può ritornare quel clima e il grande basket maschile a Campobasso?

“Dubito che possa succedere, perché ci furono molte coincidenze e non si potrebbero ripetere tutte. C’è il basket femminile ai massimi livelli, la Magnolia è una squadra solida e c’è entusiasmo. Si dovrebbe ripartire daccapo con il settore maschile, ci vuole prima di tutto un gruppo dirigente organizzato, dove ognuno ha un ruolo da svolgere al meglio. Adesso la congiuntura economica è sfavorevole, i tempi sono cambiati, le imprese solide sono poche; allora c’era maggiore benessere e la regressione è molto marcata dal punto di vista economico. C’era anche il calcio molto forte e tra i due ambienti c’era amicizia, adesso la città è vuota.

La possibilità di una ripresa a breve è remota- dice il ‘capitano’ – sarebbe necessario un progetto a lungo termine, ma il pubblico vuole vedere le vittorie subito, invece si deve ancora creare il vivaio e al momento il discorso è utopistico. Mimmo (Sabatelli, ndr.) ha iniziato con noi e siamo legati, è bravo, ma sono arrivati subito in alto e il pubblico segue molto la squadra. Voglio dire che affiancare anche un campionato maschile sarebbe difficile e troppo oneroso; ci vorrebbe poi un uomo di passione, come è stato Di Placido, che non si tirava mai indietro, ma di presidenti così ne nascono ogni cinquant’anni”.

Tanti ricordi belli, ma non solo

“E’ stato un periodo bellissimo, ho vissuto un sogno lunghissimo e, purtroppo, ho vissuto anche la delusione finale. Ero in Sardegna e mi arrivò la notizia della cessione del titolo, fu bruttissimo, come se di colpo mi avessero tolto tutto e la delusione favorì la mia decisione di chiudere il discorso con il basket. Quello che c’è stato prima è stato troppo bello ed irripetibile”.

Una ‘collezione’ di ricordi ed emozioni, anche per il cronista: non si sarebbe mai potuto chiudere in maniera migliore questo ciclo di interviste.

Ringrazio il Comitato Regionale del Molise dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.

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