Time Out/ Il basket campobassano dagli anni 70′ agli anni 90′:Flavio Pastorello

di Stefano Manocchio

In questa serie di interviste sul basket campobassano negli anni andati, ci sono due nomi che immediatamente balzano alla mente dei tifosi ‘storici’: Stefano Pizzirani e Flavio Pastorello, perché sono stati spartiacque tra la visione normale della pallacanestro nei rispettivi periodi e l’impresa sportiva che rimane poi nella mente di tutti. Il primo portò di fatto il basket a Campobasso e fece la differenza in campo, riuscendo a volte a giocare praticamente da solo…e vincere; Pastorello era in grado di fare qualunque cosa e non si sapeva fino all’ultimo secondo se l’avrebbe fatta, quindi quando entrava in azione tutti si concentravano nel vedere cosa avrebbe ‘inventato’ per andare a canestro.

Con Pastorello la prima domanda è stata proprio su quest’argomento: ma a lui la definizione di uomo squadra non sembra piacere.

“Sono contrario ai solisti, almeno per quanto mi riguarda- ha detto in premessa- e noi vincevamo le partite perché tutti giocavano bene. Il giocatore bravo fa squadra e noi eravamo tutti bravi. Nel periodo campobassano non ho notato la pressione sulla mia persona, se c’è stata, perché per me esiste solo la squadra”.

Come è avvenuto il suo passaggio a Campobasso?

“Fu una combinazione di fatti; io avevo giocato a Roma e in quel periodo ho conosciuto anche gli allenatori che poi ho ritrovato a Campobasso. Quella destinazione poi mi avrebbe permesso di avvicinarmi a Monopoli ed era proprio quello il mio obiettivo”.

Lei ha lasciato il segno a Campobasso, ma quell’esperienza come la ricorda?

“Sono stati quattro anni bellissimi e sono molto contento di averli vissuti nel capoluogo molisano; il ricordo è molto forte ed è stata un’esperienza più che positiva. Non mi riferisco solo alla squadra, che era molto forte, ma anche alla città e ai tifosi. Un’esperienza piena di soddisfazioni a 360°. Io ho giocato tre campionati sotto la guida di Martinoia come allenatore e sono stati forse i tre anni più belli della mia carriera sportiva, con campionati di B1 e B2; il quarto anno è arrivato Vandoni e le cose non sono andate esattamente come avrei voluto; non riuscivo a dare quello che lui chiedeva e ci sono state delle incomprensioni. Alla fine sono andato via, con grande dispiacere. Gli anni vissuti a Campobasso sono stati importanti dal punto di vista sportivo e umano”.

Da sinistra: Flavio Pastorello, Bruno Petti e Maurizio Trotti

Quale è stata la formula vincente che ha permesso al Campobasso di ben figurare anche in campionati di prestigio?

“La formula vincente è data da un insieme di fattori ad iniziare dalla società sportiva, che aveva dirigenti preparati; sicuramente il perno erano i fratelli Di Vico che lavoravano con passione. Come non ricordare, poi, il presidente Di Placido! Anche lui appassionato e motivato. Si era creato un clima ideale, si lavorava bene ed in totale tranquillità. Poi la tifoseria eccezionale e sempre fedele, anche nelle sconfitte. L’insieme di tutto ciò è stata la formula vincente. Lasciatemi però parlare un po’ del presidente. Franco Di Placido è stato importante per me: lui mi voleva bene e mi ha dato la possibilità di entrare in amicizia, togliendo la barriera burocratica dei ruoli. Una persona umana, educata e gentile, sempre. Sono rimasto dispiaciuto quando ho saputo che era venuto a mancare”.

Qualche ricordo della vita cittadina?

“Eravamo sempre concentrati sul da farsi, ci si allenava anche di mattina e personalmente ho fatto la vita dell’atleta, fatta di allenamenti e cure mediche. A tal proposito voglio ricordare Marcello Presutti ed ho saputo che è deceduto di recente; mi è stato di grande aiuto ed era sempre disponibile”.

Nel 2012 c’è stata la partita tra le vecchie glorie rossoblù

“Sono tornato volentieri a Campobasso anche se non ho potuto giocare; ma è stato bello vedere persone con le quali ho condiviso un’importante impresa sportiva. Ricordo con affetto i ragazzi di allora e quando capita di salutarci vedo ancora calore”.

Dopo Campobasso come è continuata la sua carriera sportiva?

“Ho giocato a San Severo, in B2; ero già sposato, proprio nel periodo campobassano e mi sono avvicinato ancora di più a Monopoli; ad un certo punto si era avviata anche una trattativa con Avellino, un’occasione importante perché poi quella squadra è arrivata fino alla serie A, ma non se ne è fatto più nulla. Dopo ho smesso con il basket, nel senso che da allora non ho più toccato il pallone e spicchi. Ho cambiato vita e quell’esperienza, bella, era per me comunque chiusa”

Un episodio bello ed uno brutto nei quattro anni vissuti a Campobasso?

“Quello bello sicuramente la promozione in B1 e le partite contro il Battipaglia che ci hanno visto alla fine vincitori. Quella brutta è sempre legata al periodo con Vandoni. Abbiamo giocato a Pesaro ed abbiamo perso una partita importante; io ho sbagliato palle decisive in quella partita e ricordo l’espressione dispiaciuta del presidente Di Placido, perché in un certo senso ero stato artefice della sconfitta. Lui non meritava di avere questo dispiacere; ci rimasi male e per giorni non riuscii a guardarlo in faccia per il dispiacere”.

A Campobasso si può ripetere quell’esperienza?

“Credo di sì. Campobasso ha bisogno del basket; la gente si riunisce intorno alle squadre sportive e si può ricreare quel clima. Il pubblico seguirebbe, perché è caloroso anche quando le cose vanno male”.

Ringrazio il Comitato Regionale del Molise dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.

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