Time Out/ Il basket campobassano dagli anni 70′ agli anni 90′: Massimo Corazza

di Stefano Manocchio

Tutti lo consideravano come facente parte del gruppo dei molisani anche se non è nato nella nostra regione ma di fatto allora era già termolese d’adozione: Massimo Corazza arrivò a Campobasso che era un ragazzino in una squadra di giganti del basket e per questo motivo il suo punto di vista è sicuramente differente rispetto ad altri intervistati.

Come è iniziata l’esperienza campobassana?

“I primi contatti furono con il compianto Ugo Storto, la squadra era stata promossa in C2 e grazie alla trattativa con Di Vico e Varrone io, Del Sole e Maj venimmo contattati; la Sabetta era fallita ed eravamo svincolati e l’anno dopo arrivammo a Campobasso anche se Maj rifiutò (ma poi comunque diventò un giocatore rossoblù), ma arrivò Basso Lanzone. Era il primo anno con Contini come allenatore e vincemmo la C1 in un ‘epico spareggio con Teramo (anno 1983/84, ndr). Io avevo giocato a Termoli e poi a San Salvo e Campobasso è stato un bel salto in avanti, mi ha fatto scoprire un livello maggiore; ero nel professionismo pur andando ancora a scuola. In B sono stato ‘trasformato’ in play guardia e si rivelò la scelta giusta. In B giocavo buoni 10/15 minuti a partita in una squadra forte che avrebbe avuto possibilità di salire ancora; ma non eravamo ben visti a livello centrale e ci è stato fatto qualche sgambetto. Il primo anno di B la squadra era completa con Mossali, Bardini, Romito, Servadio e gli altri, anche se forse c’erano troppi doppioni e comunque abbiamo sfiorato l’ennesima promozione. Dopo tre anni sono partito per il militare, ho giocato con la Nazionale della Marina, poi due anni a Termoli e sarei dovuto tornare a Campobasso ma non c’è stata la possibilità. Andai a Reggio Calabria in C1, poi di nuovo Termoli e Ferrara- Ora vivo a Ferrara, ma ho a casa a Termoli. Sono istruttore nazionale ho riprovato a Termoli, ma dopo l’ennesima crisi societaria ho rinunciato a rimanere il Molise; sono stato in Emilia Romagna in serie C e poi nei campionati minori e ho giocato fino a 48 anni.”.

Massimo Corazza ai tempi d’oro della stagione cestistica

Campobasso è stata importante: qualche ricordo?

“Campobasso è nel cuore e i ricordi sono tanti. I primi anni non c’era ancora tradizione cestistica come invece per il calcio; la domenica andavamo in giro con auto e megafono a promuovere la partita. Il pulmino delle Foreste Molisane era malmesso e poco adatto alla guida e qualche volta abbiamo rischiato l’incidente. La città era molto tranquilla, ancora non c’era l’università ed ero totalmente dedicato al basket. Andavamo da Lupacchioli e per il Corso la gente ci riconosceva. A mangiare al ristorante ‘da Mario’. Il Palavazzieri dovette essere potenziato e noi aiutammo anche a mettere il parquet, le tribune erano mobili e davamo una mano a spostarle. Dopo decenni ancora ne parlo, il ricordo è indelebile: eravamo squadra e gruppo. Campobasso ci ha fatto sentire a casa con una società professionale e le promesse sono state tutte mantenute; per questo motivo sono venuti giocatori di livello superiore. La città aveva i suoi limiti e pochi divertimenti, ma forse proprio per questo abbiamo avuto il giusto stimolo a far bene. Poi c’era il pubblico: l’affluenza sempre alta e grande passione per i colori societari. Io ero giovane, andavo a scuola a Termoli e poi giocavo a Campobasso”.

Qualche ricordo fuori dai campi?

“Le nevicate, Castorina (che era piccoletto) una volta rimase ‘abbelato’; ricordo il trasporto con l’aereo nelle trasferte lontane e le soste sempre a Monteporzio Catone per mangiare prima di andare in aeroporto.”

E tra le persone?

“Oltre ai dirigenti Di Vico, Varrone, Sardelli e gli altri sicuramente il presidente Di Placido, il massaggiatore Mario che legava con tutti; Bruno Petti il forte preparatore atletico che aveva a che fare con giocatori che facevano sempre storie perché non volevano lavorare senza palla, ma poi si accettava tutto. Ricordo le partite a carte con Grasselli, la cena a casa dei dirigenti con i fratelli Di Vico. Un ricordo simpatico su Di Placido. Il primo anno lui ancora non capiva le regole del basket e una volta mi chiese: “Corazza, ma chi sono gli attaccanti e chi i difensori?”. Poi si appassionò e divenne anche informato e competente. E’ stato una grande persona con enorme passione per questo sport”.

Oltre Teramo le partite che ricorda meglio?

“ Il ricordo negativo la partita con il Livorno; buttai al vento qualche occasione vincente, ero ragazzo; poi la rivalità con Sassari , vinsero a Campobasso con una mega rissa sotto le tribune. Il pubblico rossoblù era eccezionale, saltava in piedi e faceva un gran frastuono.”

Si può ricreare quel clima e riportare il basket maschile in alto?

“E’ possibile, ma ci vogliono persone con un progetto e una visione come allora; adesso c’è il basket femminile che va molto forte, perché c’è un imprenditore che ha passione ed ha investito economicamente molto. Non si possono paragonare questi tempi agli anni’80, è cambiato tutto. E’ importante intanto organizzare il settore giovanile che purtroppo non viene seguito; la regione è piccola e allora si riuscì a farlo con grandi sacrifici. Bisogna avere consapevolezza che investire nello sport non porta grande ritorno; alcuni ci provarono dopo la crisi ma non fu possibile. Allora avvenne grazie a quella dirigenza ed a Di Placido; ora il basket è cambiato, ma se ci sono persone in grado di farlo, va fatto”.

Tanti ricordi per entrambi durante questa chiacchierata in perfetto stile ‘io c’ero’.

Ringrazio il Comitato Regionale del Molise dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.

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