Rotola, rotola, come un barattolo rotola …

“Rotola, rotola, come un barattolo rotola”, con questo refrain di una vecchia canzone degli anni 50 cantata da Gianni Meccia, tra l’altro di origine molisana, Agnonese per la precisione, vorremo continuare il percorso intrapreso con voi quasi quotidianamente. Un percorso che ci permette di aprire una finestra, se pur immaginaria, in un epoca in cui l’Italia si aggiudicava “la lira d’oro” grazie alla politica attuata da Luigi Einaudi, prima Governatore della Banca d’Italia, poi Presidente della Repubblica. Una Nazione che non immaginava assolutamente alle “pensate” del “leader massimo” e dei suoi “adepti” che in queste ore, in nome di fantomatici benefici, sta cercando di accreditare, in vista del prossimo referendum del 4 dicembre, grazie all’apporto dei big che alla spicciolata arrivano in Molise, la bontà delle tesi che però a quanto pare porterebbero vantaggi unicamente “ai soliti noti”. Una nazione ignara che Il Molise ancora collegato all’Abruzzo a distanza di anni, si sarebbe letteralmente sfaldata a causa delle “frane politiche” che ne hanno modificato profondamente l’assetto. Una regione in cui gli echi dei grandi avvenimenti arrivavano ovattati, dove il lento scorrere del tempo accompagnava il quotidiano di genti dedite unicamente al lavoro, fatto di sacrificio. Una regione che, per le peculiari caratteristiche che tuttora ci contraddistinguono dal resto della Nazione, seppe meravigliare gli alpini che, in seguito alla nevicata record del 1956, una volta arrivati in alcuni paesi dell’Alto Molise per soccorrere le genti, rimasero attoniti e si preoccuparono per l’assenza della popolazione che, in barba alle intemperie si erano rifugiate senza alcuna sofferenza nelle cantine intercomunicanti. Una regione che piena di entusiasmo si apprestava a dare il proprio contributo fattivo al Paese, in cui si viaggiava sulla mitica “500” dagli sportelli contro vento. Una regione che per anni, a causa della sua colorazione politica, unitamente al Veneto fu appellata “il piccolo Vaticano”. Una realtà che ci riporta alla mente immagini che emergono dalle nebbie del tempo soprattutto quando si scovano nei cassetti delle nostre nonne le vecchie fotografie che ci rammentano come “le cose di pessimo gusto” della poesia “Il salotto buono di nonna Speranza” di Guido Gozzano non stonano, ma anzi, fanno bella mostra in un mondo dove tutto è caos, tutto è malaffare, tutto è compromesso. Immagini che invece, dovrebbero far meditare, anzi ragionare, chi vuol imporci a tutti i costi il “proprio credo”. Immagini da non accantonare come un giocattolo non più di moda che, lacero e sporco, è abbandonato in un vecchio baule che presto la polvere ricoprirà. Immagini che, se pur lentamente, hanno permesso di costruire un’identità che difficilmente potrà essere cancellata da chi crede di essere “il padrone delle ferriere”, per citare il titolo di un libro che sicuramente molti di voi avranno letto. Immagini che non permettono di diventare la caricatura di noi stessi, perché le caricature, nonostante suscitino ilarità, mostrano soltanto il lato grottesco delle cose e questo il Molise e i Molisani in particolare non lo meritano affatto.

Massimo Dalla Torre

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