Una mostra per guardare con occhio nuovo alla detenzione

Il Centro Culturale Il Circolo dei Lazzari e la Casa famiglia “IKTUS Lucia e Bernardo Bertolino” di Termoli, assieme ad altri centri culturali marchigiani ed abruzzesi, hanno aderito al progetto dal titolo Barabba: dall’amore nessuno fugge. Un cambiamento di sguardo sulla realtà carceraria, pensato per generare e diffondere uno sguardo più vero sulla realtà delle carceri.

L’iniziativa ha il suo cuore nella mostra “Dall’amore nessuno fugge: L’esperienza della APAC in Brasile,presentata al Meeting di Rimini per l’amicizia dei popoli del 2016, che propone un nuovo modo di considerare il detenuto; a partire dal suo diritto di essere oggetto di uno sguardo nuovo, che lo faccia sentire pienamente appartenente all’umanità.

La mostra prende il nome dall’emblematica frase di un detenuto di nome José che, dopo essere riuscito ad evadere da tutte le prigioni nelle quali era stato recluso, ha fatto l’esperienza di essere guardato in modo nuovo in una realtà carceraria diversa.

È un fatto che diviene esperienza di come si possa “recuperare l’uomo, rimuovendo il criminale”: quella delle APAC (Associazione di protezione e assistenza ai condannati).

Essere rimesso in libertà dopo tanti anni di detenzione, senza un percorso e una prospettiva diversa da quella già conosciuta e sperimentata nel crimine è un gesto irresponsabile, è un fallimento dell’uomo verso l’altro uomo. È come se il 75 % dei malati che entrano in ospedale, ne uscisse morto; è come se il 70/90 % di chi va a scuola, non imparasse nulla.

Importa relativamente il numero dei carcerati in esubero, i metri quadri messi a disposizione, in assenza di una dedizione gratuita nei confronti del recuperando; solo l’esperienza di essere “abbracciato” interamente può portare a vedersi restituita la dignità di persona, consapevole sì del proprio errore, ma desiderosa di nutrire la radice buona presente in lui.

Le APAC (Associazione di protezione e assistenza ai condannati) sono una novità nel sistema penitenziario, nate dall’iniziativa libera e spontanea di volontari che, affascinati dall’esperienza cristiana, introducono un metodo nuovo nel mondo della giustizia: istituti di pena senza sbarre, senza polizia penitenziaria, senza armi, in cui sono gli stessi carcerati (chiamati recuperandi) a gestire la vita comune.

Fondato nel 1972 dall’avvocato Mario Ottoboni, il sistema delle APAC è centrato sulla dignità dell’uomo: il condannato è consapevole del proprio errore, ma è certo che il reato commesso non definisce la sua vita, la sua dignità di uomo, i suoi rapporti, la sua capacità di amare e di desiderare la felicità. Le APAC hanno dimostrato di essere realtà detentive più efficaci ed efficienti, rispetto a quelle tradizionali: il rischio di recidiva è quattro volte minore e il costo di mantenimento è tre volte inferiore rispetto alle carceri comuni.

Qui entra l’uomo, il delitto resta fuori” è la significativa frase posta all’ingresso delle APAC: la prima preoccupazione è la valorizzazione dell’umano, a partire dall’assenza di uniformi, e numeri di matricola; il singolo carcerato è chiamato per nome.

Essere chiamati per nome equivale a sentirsi persona, non un numero, non un colpevole, ma un uomo.

Questo semplice fatto unitamente alla fiducia nell’altro, al dare credito al recuperando, permette il riaccendersi della scintilla del desiderio nel cuore dell’uomo ed è allora che l’esigenza di bellezza, di verità e di giustizia, ormai insopprimibile, divampa, diventando reale cambiamento e novità: rinasce l’uomo nuovo e muore quello vecchio.

La mostra viene proposta in modo itinerante nelle Marche, in Abruzzo e nel Molise; nella nostra Regionesarà allestita a Termoli, presso il Museo d’arte contemporanea (MACTE), in Via Giappone, dal 21 al 27 ottobre (orario di apertura: 9-12.30; 18.30-20.00) ed a Campobasso, nell’Area espositiva ex GIL, Via Genova, dal 28 ottobre al 4 novembre.

Il percorso composto da testi, foto e video vuole proporsi come una sfida al criterio con cui normalmente guardiamo chi sbaglia, pieni di pregiudizi e obiezioni; di qui l’invito a tutti a visitare la Mostra ed a diffonderne la conoscenza

Benito Giorgetta

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