Il Molise, le strade rotte e la politica del ‘non dare’

Il problema della diga di Ponte Liscione ha aperto gli occhi dei molisani su una questione di rilevanza vitale per il nostro territorio: l’assenza totale di alternative alla viabilità principale. Detto in questa maniera potrebbe sembrare una questione di lana caprina, mentre è lo snodo principale di tutti i discorsi di sviluppo per la nostra regione, anzi l’elemento fondante del nostro futuro e ancor più di quello delle prossime generazioni. Il problema è drammatico e complessivo: in questa regione sono arrivati finanziamenti ingenti per la ricostruzione, che sono stati spesi per un’emergenza, quella abitativa, ma non per la viabilità, come se il terremoto non riguardasse quest’aspetto e se la Bifernina fosse un’ottima strada, moderna e sicura, cosa che non è. Adesso alla paura del sisma si è aggiunta quella, più che giustificata, dei rischi per il ponte del Liscione e l’incertezza per la chiusura, che oramai potrebbe essere continua (facciamo gli scongiuri affinché non vi siano altre scosse di terremoto) di dieci chilometri di strada, fondamentali per collegare non solo parti del Molise, ma anche le nostre attività economiche con quelle di altre regioni.

La logistica è il cuore dello sviluppo economico e, nel nostro caso, la base di partenza per la ripresa; senza infrastrutture non c’è futuro per nessuno e per noi, che nel quadro nazionale siamo deboli e poveri, ce ne è ancor meno, se così si può dire. Non dico ciò a caso: la ricerca dello Svimez ha dato certificazione a quello che tutti già sospettavano, facendo capire come la nostra sia forse l’unica regione a non dare alcun segno di reazione alla crisi decennale, che nel resto del Paese inizia ad allontanarsi e da noi rischia di rimanere in eterna memoria. Questi due fatti (viabilità inesistente e assenza di ripresa economica) concatenati tra loro portano ad una conclusione drammatica: Il Molise sta morendo, lentamente ma inesorabilmente. In tutto questo manca, da qualche decennio, qualunque aspetto significativo di programmazione politica, qualunque azione forte per la salvaguardia del tessuto economico, qualunque idea da parte di chi dovrebbe averle, cioè la classe politica locale.

Si tira a campare, si mettono in atto azioni tampone, che poi alla fine non tamponano alcunché. La politica del ‘fare’ non ha fatto: sarebbe ora di passare alla politica del ‘dare’, cioè dare azione, programmare e dare speranza alla popolazione. Ma l’impressione è che, anche in questo caso, come da decenni, qualunque tentativo sia vano.

Stefano Manocchio

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