I poveri ci sono, il tesoretto no

Quanti sostengono che il tesoretto non esiste hanno ragione, ma l’affermazione non va usata come se fosse un’arma di distrazione di massa rispetto a una situazione economica fragilissima. Non si può cinicamente ironizzare  sull’ipotesi di destinare 1,6 miliardi di euro finalizzato ad un piano nazionale di contrasto alla povertà, trovandoci in presenza di una platea di 6 milioni di persone in povertà assoluta senza l’esistenza di uno strumento di lotta alla miseria. La proposta di dirottare 1,6 miliardi di euro in supporto degli indigenti proviene da un maggiore deficit dello 0,1% come differenza tra un 2,6% di rapporto deficit/Pil per il quale ci siamo impegnati con la Ue e un andamento tendenziale che dovrebbe fermarsi al 2,5%, grazie a un migliore andamento della crescita economica, lasciando quindi quel piccolo margine,nel Def,che dovrà essere poi tradotto in realtà con tanto di dettaglio delle spese e delle relative coperture con la legge di Stabilità a fine anno. C’è tempo dunque per soppesare le diverse soluzioni e trovare i fondi necessari  anche  a finanziare la lotta alla povertà.
I 10 miliardi di euro spesi,lo scorso anno, per il bonus fiscale da 80 euro e i  9 miliardi di euro destinati a ridurre il peso dell’Irap sulle imprese o altre spese e sconti fiscali introdotti,non erano il Tesoretto, ma scelte più o meno felici , più o meno efficaci e necessarie.  Bisogna  iniziare a costruire un sistema che dia risposta concreta al bisogno di quell’ampia parte della popolazione che «non raggiunge uno standard di vita minimamente accettabile», e che è  in povertà assoluta.  Le strade sono due il Sostegno di inclusione attiva e il Reddito d’inclusione sociale, elaborate dall’Alleanza contro la povertà promossa da Caritas, Acli, Forum del Terzo settore, Conferenza delle Regioni, sindacati e un’altra ventina di associazioni. Un mezzo per assicurare ai poveri (assoluti) il raggiungimento di una soglia minima di reddito, insieme ad una serie di servizi pubblici e del Terzo settore per l’inserimento lavorativo e sociale di chi si trova in difficoltà. Un piano nazionale strutturale, spalmato su quattro anni, con un costo a regime di 7,1 miliardi di euro e un primo impegno di 1,7 miliardi, proprio quello 0,1% di minor deficit/Pil. garanzie e coperture possono essere trovate con riduzioni di spesa o razionalizzazioni fiscali. Occorre investire  a favore dei deboli.

Alfredo Magnifico

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