Assessore o Assessora, Lembo: le capacità prescindono della declinazione al femminile o al maschile!


La Consigliera di parità delle Province di Campobasso e Isernia Giuditta Lembo sa bene quanto le parole siano importanti e servano a spostare l’orizzonte culturale di una comunità. Perché per tutti noi afferma la Lembo – è normale definire una donna una infermiera e invece è più difficile darle dell’avvocata?

Semplicemente perché il linguaggio comunemente usato fa fatica ad aggiornarsi in un
Paese in cui fino circa 40 anni fa esisteva il delitto d’onore (di fatto la pena era ridotta per chi uccidesse la moglie, la figlia o la sorella per difendere “l’onor suo o della famiglia”) e il matrimonio riparatore (se un uomo commetteva uno stupro poteva evitare la pena detentiva offrendosi di sposarla) e certi lavori erano appannaggio solo degli uomini.

La direttiva n. 2 del 27 giugno 2019 ha imposto alla Pubblica Amministrazione italiana di “utilizzare in tutti i documenti di lavoro (relazioni, circolari, decreti, regolamenti, ecc.) termini non discriminatori. Meglio quindi – afferma Giuditta Lembo – l’uso di sostantivi o nomi collettivi che includano persone dei due generi: avanti con la parola “persone” al posto di “uomini”!

Il tema, insomma, è cruciale per chi si occupa di far progredire la società ma non sembrerebbe lo sia per la neo- assessora alle politiche sociali della Regione Molise
Filomena Calenda che, in un recente articolo, nel rispondere alla domanda come si farà chiamare assessore o assessora ha risposto che preferisce assessore: “perché mi piace la declinazione al maschile in quanto è importante poi vedere come una donna svolgerà il proprio ruolo in quella nomina e quindi non mi piace assessora”.

Così, ad una prima impressione- prosegue Giuditta Lembo- appare chiaro che per la neo -assessora Calenda l’assessore è un ruolo maschile, ad appannaggio degli uomini e quindi deve rimanere declinato nella sua presunta accezione maschile perché solo così una donna può dimostrare le sue capacità, altrimenti in una ipotetica declinazione femminile queste capacità verrebbero meno o sarebbero diverse da quali capacità insite maschili?

Insomma, per la neo-assessora meglio il ”linguaggio comunemente usato” (verrebbe da chiedere da chi: per me e credo per tante donne, per esempio, il ”linguaggio comunemente usato” è quello che rispetta le declinazioni e per questo continueremo sempre a chiamarla assessora e non assessore) che è quello corretto come insegna anche l’Accademia della Crusca. ”La Presidente dell’Accademia della Crusca, Nicoletta Maraschio, – si legge infatti sul sito dell’Accademia -, per evitare alcuni possibili
equivoci nelle sintesi che si vanno diffondendo in rete, tiene a ribadire l’opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali (la ministra, la presidente, l’assessora, la senatrice, la deputata ecc.) e professioni alle quali l’accesso è normale per le donne solo da qualche decennio (chirurga, avvocata o avvocatessa, architetta, magistrata ecc.) così come del resto è avvenuto per mestieri e professioni tradizionali (infermiera, maestra, operaia, attrice ecc.)”.


Alla luce di ciò, vorrei sapere – conclude la Consigliera di parità- se la Assessora Calenda condivida le diffuse preoccupazioni per una cultura maschilista che continua a “passare” attraverso la lingua che usiamo! Con il linguaggio, non solo comunichiamo, ma disegniamo per noi stessi e per gli altri una rappresentazione del mondo.

Un linguaggio sprezzante oppure un linguaggio che non tenga conto del femminile, rappresentano un mondo privo di rispetto ed escludente. Un esempio: se ad una platea
un relatore si rivolgesse dicendo “benvenute”, suonerebbe escludente a tutti gli uomini
presenti. Bene, viceversa anche per le donne! Il Senato della Repubblica si è adeguato, dalla carta intestata ai dialoghi in aula, ci si rivolge a senatrici e senatori.

E allora, speriamo che la-neo-assessora Calenda lo capisca, ma in attesa che ciò accada l’invito è a tutti voi cari lettori a fare buon uso della lingua italiana: rendiamolo ”linguaggio comunemente usato” così che l’assessora possa semplicemente adeguarsi scoprendo che le declinazioni al maschile e al femminile non sono né inutili né ridondanti.

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