Angolo della psicologa/ La scoperta di sé percorrendo i sentieri della vita

Tempo fa mi chiesero, di scrivere qualche riga, come ora, sul senso del cammino e subito, mi venne in mente questa frase: ”il senso del cammino non è solo la meta da raggiungere, ma è la strada da fare ed è l’equipaggio, cioè i compagni che porti con te”.

Da qui partì la mia riflessione, la stessa che riporto in queste righe e che mi auguro, rappresenti più che un mio pensiero, un invito a riflettere e metaforicamente muovere il primo passo, quello rischioso, quello che ci toglie dalle certezze, vere o false che abitano in noi e che, con un personalissimo “Lech-Lecha” (cioè l’invito che Dio fece ad Abramo di andare via dalla sua terra), ci conduca verso la conoscenza di parti di noi non ancora esplorate e la promessa di prosperità che allora accompagnò Abramo ed che oggi accompagna chi osa fare il primo passo verso il nuovo che non conosce uscendo dallo schematismo che lo ingabbia e lo tiene lontano da un autentico e completo contatto con sé, con l’altro da sé e con il mondo.
L’equipaggio a cui facevo riferimento, non è fatto solo di persone reali, di vere e proprie compagnie durante il viaggio, compagni con cui condividere la strada ma, mi riferivo più che altro, ad un equipaggio metaforico, quello che ogni giorno, sotto forma di tratti interiori, di pensieri (desiderati o meno), portiamo con noi.

Hannah Hurnard in un suo meraviglioso libro, uno dei più belli che abbia mai letto: “Piedi di cerva sulle altre vette”, racconta di una ragazza dal nome Timorosa, che mossa dal bisogno di stare bene e motivata dal desiderio di vivere senza l’oppressione delle paure, limitazioni coercitive e dittatoriali, veri e propri ostacoli alla crescita e al miglioramento personale, decide di mettersi in viaggio verso le “Alte Vette” con il desiderio di trasformare i suoi piedi storpi in piedi di leggiadro cerbiatto.


Con lei, a farle compagnia, c’è un equipaggio alquanto particolare: “Tristezza” e “Sofferenza”, due strane ma, al quanto comuni, compagne di viaggio che potrebbero essere considerate delle zavorre lungo i sentieri impervi; un pò come i rallentatori stradali, quelli che quando ci finiamo su con la macchina si beccano un sacco di imprecazioni ma poi, a ben pensarci, sono fondamentali per rendere più sicuro il nostro percorso. Infatti Tristezza e Sofferenza potrebbero anche effettivamente essere considerate come il bastone del viandante, che se seppur, talvolta pesante da portare, si rivela utilissimo ed indispensabile per permetterci di continuare a camminare in sicurezza con la prudenza propria di chi pur volendo procedere nel viaggio ne riconosce le impervietà.


Timorosa, lungo la strada, un difficile cammino, reso faticoso ancor di più dalle sue condizioni personali, affronta molteplici ostacoli dai quali però non si lascia fermare, fin quando non raggiunge la meta, le “Alte Vette” e, con l’esperienza del cammino alle spalle, muta la sua condizione iniziale.
Timorosa riceve un nome nuovo, verrà chiamata Grazia Celeste.
Quanto è importante il nome!
Ci racconta di un’appartenenza, ci dona un’identità. Grazia Celeste, dopo il cammino esperito dentro di sé, con la conoscenza e consapevolezza nuova di chi è e di cosa è chiamata a fare, guarda le sue compagne di viaggio, quelle che, come un bastone, l’hanno accompagnata lungo la strada. Quelle che, in realtà, altro non sono che parti di sé.
Grazia Celeste guarda Tristezza e Sofferenza e le chiama con un nome nuovo, quello che d’ora in avanti le identificherà, imprimendo in loro un carattere nuovo ed una nuova definizione: Gioia e Pace.
Quando si arriva alla meta di un qualsiasi cammino, la strada percorsa ti fa da maestra, indicandoti un punto che, una volta raggiunto, ti permetterà di vedere tutto quello che ti circonda, tutto quello che porti con te, quello che ancora deve venire, da una prospettiva diversa.
Con occhi nuovi.


Tutto resta come sempre, eppure subisce un profondo cambiamento, perchè a mutare non è il mondo, non sono gli altri che sono nel mondo ma, sono i nostri occhi, quelli con cui guardiamo e ci relazioniamo.
Dopo un cammino interiore, facilitato dal mettersi concretamente in viaggio, acquisiamo una visione nuova che genera in noi nuove prospettive, nuove possibilità, nuova forza e nuova vita.
Un pò come scrive Josè Saramago in “Viaggio in Portogallo”: “Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre”.


E questo risulta necessario perché mettersi in viaggio è essenziale per riappropriarci di noi stessi e con questa nuova ricchezza partire ancora. Ancora una volta buon cammino sulle strade della vita.

Dott.ssa Antonella Petrella
Psicologa- Psicoterapeuta

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