Terzo Settore/Manzo: Fondazione Italia Sociale in Commissione

Stato, mercato e Terzo Settore: è questa la nuova fotografia di un sistema adesso tripolare che deve tradursi in un nuovo modo di programmare le azioni politiche da mettere in campo, tenendo ben chiaro il ruolo e le potenzialità del pianeta no profit. Motore nuovo dell’economia regionale, in grado di trainarla, di creare posti di lavoro, di reggere all’impatto della crisi e, ultimo ma non per ultimo, di rispondere in maniera puntuale e professionale ai bisogni dei cittadini.

Il Terzo Settore non è più un ambito marginale, che interviene solo quando non si hanno altre strade, una sorta di ‘ultima spiaggia’: è un fenomeno importante, in crescita, con numeri che oggi dovrebbero spingere la classe dirigente ad individuare politiche di programmazione attente e mirate, coinvolgendo il mondo dell’università e quello della formazione professionale per creare percorsi specifici e innovativi in grado di creare le competenze necessarie e richieste.

È il momento in cui la politica regionale dovrebbe misurarsi con progetti pilota, in grado di dare opportunità professionali e di crescita in ambiti fino ad oggi ‘sconosciuti’.

Un tema sul quale ho puntato l’attenzione con la presentazione di una proposta di legge che è in fase di approfondimento in Quarta Commissione consiliare. In questo contesto, ho suggerito – trovando fin da subito la condivisione del presidente e dei colleghi – di audire uno dei massimi esperti di questo mondo così variegato e innovativo, che ha retto alle crisi economiche.

Con il segretario generale di Fondazione Italia Sociale, il dottor Gianluca Salvatori, abbiamo avuto modo di comprendere le dinamiche da considerare per poter implementare un percorso realistico di crescita in termini di occupazione e di economia che, con molta superficialità, viene circoscritto all’impegno – lodevole e indispensabile – del volontariato, ma che è altresì l’espressione di una variegata galassia di enti, associazioni, fondazioni che potrebbe concorrere da protagonista allo sviluppo della realtà economica regionale.

Come? Creando posti di lavoro, occupando spazi dove lo Stato entra solo in sporadici momenti.

È stato un momento di confronto rilevante, che ha di fatto confermato la bontà del percorso che ho inteso avviare e che spero porti in Aula, il prima possibile, una proposta di legge innovativa, strategica, di prospettiva, in grado di supportare i bisogni e creare economia nuova.

Un po’ di numeri, per chiarire l’ambito nel quale ci muoviamo: il Terzo Settore impiega in Italia un milione e mezzo di dipendenti diretti; gli indicatori dimostrano la crescita numerica delle organizzazioni stimate ad oggi a circa 380.000. Un ambito professionale in crescita in termini di valore economico e di persone occupate, che vale oltre il 4 per cento del Pil. Un fenomeno contraddistinto da una dinamica anticiclica: la crescita avviene nei momenti di crisi, quando le imprese tradizionali sono in difficoltà e riducono l’occupazione. È quello – e quindi è oggi – il momento in cui il Terzo Settore mantiene o accresce i livelli occupazionali. Un settore che serve a mediare, tamponare e correggere gli effetti delle crisi più gravi.

L’ambito nel quale si muove il Terzo Settore, quello della risposta in termini di servizi ai bisogni, è strettamente correlato alle conseguenze delle dinamiche demografiche: in Italia, più che altrove, il processo di invecchiamento accelera. Aumenta, di circa 10 anni, l’aspettativa di vita, ma questo non significa che si viva veglio. In parallelo aumentano la non autosufficienza e le malattie croniche.  

Il Molise non è di certo indenne dal trend italiano: la popolazione invecchia, le patologie rendono gli ultimi anni di vita complicati, la mortalità supera di molto la natalità con un saldo negativo costante. Una popolazione che invecchia pone problemi di assistenza, fa crescere una serie di domande di bisogni nuovi che il welfare tradizionale non è in grado di soddisfare. Ed è questo il terreno – quello della silver economy – nel quale è cresciuto in maniera sana e rigogliosa il no profit, il motivo per il quale il Terzo Settore è uno degli attori determinanti nel rispondere, sicuramente dal basso e spesso con poca programmazione, ad una serie di necessità.

Il sistema pubblico fa moltissimo ma non ha le capacità di reazione, investimento e innovazione in grado di reggere il cambiamento. E così il Terzo Settore è andato a riempire molti vuoti producendo servizi, non solo volontariato, inventandosi un pezzo di economia che prima non c’era.

I numeri: 74 miliardi di fatturato complessivo con la parte dei trasferimenti pubblici che è diminuita del 20%. Sui bilanci, il Terzo Settore pesa per 14 miliardi, altri 10 sono provento di risorse private, donazioni varie. La parte restante è il profitto – che viene reinvestito – che producono gli enti no profit in termini di servizi.

Ma il Terzo Settore non è presenza marginale nemmeno nei servizi di accompagnamento per chi deve entrare nel mondo del lavoro, per la ricollocazione di chi lo ha perso, nella formazione professionale di nuove figure – le stesse che diventeranno il perno della rivoluzione digitale che il Pnnr pone come obiettivo principale – nella gestione di quegli ambiti dove la precarizzazione del lavoro è ormai dilagante.
Ci sono forme alternative e innovative con esempi virtuosi che arrivano dall’Europa. Uno su tutti: la piattaforma cooperativa dei lavoratori dello spettacolo che contribuiscono ad un fondo comune privato che interviene nei periodi di disoccupazione. La piattaforma si occupa della gestione del fondo, delle pratiche amministrative, delle assicurazioni dei lavoratori prendendoli in carico e fornendo i servizi come se fossero dipendenti di una grande impresa.

Occorre, come è evidente una, maggiore consapevolezza dei decisori pubblici, un approccio più positivo nei confronti dell’economia sociale, di quel mondo strutturato di imprese sociali che mostrano caratterizzazioni manageriali, producendo non solo reddito ma anche e soprattutto occupazione.

È una grande sfida anche per noi: siamo chiamati a cambiare la visione tradizionale. Il sistema pubblico non ha più competenza esclusiva sul bene comune, l’interesse generale può essere perseguito anche da enti del Terzo Settore. Ma il cambiamento, in termini di principi e di norme, deve essere accompagnato da atti conseguenti, azioni di rafforzamento.

La proposta di legge di cui sono prima firmataria riflette questo sforzo di innovazione: una Regione che abbia davvero contezza dell’attuale scenario e lo sguardo puntato al futuro prossimo, deve esercitare una sua azione positiva riconoscendo l’importanza e, mi si passi il termine, anche l’utilità del Terzo Settore per uscire dalle secche di una crisi economica e sociale, dagli effetti devastanti dello spopolamento.

Come?  
Con progetti pilota con cui testare sul campo la coprogrammazione e la coprogettazione – che sono i pilastri della proposta di legge che ho presentato – in settori come la salute, l’istruzione, i beni culturali, l’agricoltura sociale, l’ambiente. Perché l’interesse generale può essere perseguito dal settore no profit.
Con una massiccia attività di formazione specifica e anche ‘ad ampio spettro’, con il coinvolgimento attivo dell’Università del Molise e degli enti di formazione, appiattiti – nonostante i proclami di inizio legislatura – su pochi e sempre identici percorsi che aprono a soluzioni tampone che non consentono percorsi moderni e innovativi.  

Con un maggiore dialogo istituzionale, che nella proposta di legge si concretizza nella creazione di una Consulta ma che dovrà essere implementato con una molteplicità di iniziative per coinvolgere e valorizzare attori del Terzo Settore, dell’Università e della Pubblica Amministrazione attraverso un confronto stabile e continuo che coinvolga enti locali, funzionari, dirigenza, che metta pilastri per una intesa profonda e non superficiale, che vada nella direzione di attivare tutte quelle forme di impresa sociale in grado di colmare carenze, aprire a scenari nuovi, creare competenze e lavoro.

Il Terzo Settore è un pilastro di Paese, una evoluzione fatta per restare, diventare elemento permanente dello sviluppo. Ma è un pezzo di economia di cui si stenta ancora a coglierne potenzialità.  
Il cambio di passo ora è scelta obbligata. Non facciamoci trovare – come troppo spesso avviene – impreparati.

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