Politica/ In Molise il comunismo non c’è più

Uno dei fenomeni principali emersi dopo le elezioni politiche e che ancor più sembrerebbe prefigurarsi per le prossime regionali è la confusione partitica di chi ha sempre avuto una base ideologica forte. In Molise il dato è ancor più eclatante, se pensiamo che la regione è ancora amministrata da una coalizione, il centro sinistra, che nasce dall’unione di due correnti fortemente caratterizzate, i democristiani ed i comunisti, anche se nel tempo abbondantemente annacquate. Il ‘quasi cappotto’ elettorale che ha visto i Cinque Stelle prendere quattro parlamentari su cinque (ed il quinto sfuggirgli solo per le distorsioni della nuova legge elettorale) è un segnale ampio di una rivoluzione che, prima che nelle urne, è nata nel pensiero, o meglio nel fallimento dei pensieri precedenti. Il crollo della DC è stato immediato ed ha generato un effetto di dispersione totale, per cui gli ex della balena bianca adesso sono ovunque, da destra a sinistra, ma non dialogano e, di conseguenza, non riusciranno mai a ricompattarsi; ma ancor più grave è la crisi, ideologica e strutturale, del vecchio blocco comunista. Prendo spunto da quanto è emerso ieri sera dopo la visione della trasmissione ‘Propaganda live’, durante la quale il conduttore, giunto in Molise, ha intervistato quattro tra ristoratori e fornitori di prodotti gastronomici, tutti dichiaratisi di provenienza comunista. Ebbene, le interviste non hanno lasciato adito a dubbi: il comunismo non c’è più, distrutto da chi ne ha gestito il tracollo. Significativi gli indirizzi di voto dei quattro: nessuno voterà il centro sinistra, seppure con motivazioni alla base della scelta differenti, anzi opposte, ma comunque con lo stesso risultato finale. E’ proprio questo il dato: ad alimentare la protesta in maniera convinta nella nostra regione sono gli ex-comunisti che hanno preso atto che l’ideologia è estinta e non credono che al momento vi sia qualcuno in grado di rigenerarla. Ora è vero che quattro voci non fanno un coro, ma è anche vero che parlando in strada i giudizi sono più o meno gli stessi ed i ‘reduci’ comunisti si sentono come il panda, tranne pochi casi di persone che ancora credono, o meglio sperano, nella possibilità di mantenere un’identità che a da altri è considerata scomparsa. Ora, intendiamoci, non è che non ci sia in regione un comunista o una sigla con la falce e martello; è scomparso quel pensiero, che era il collante tra varie differenze di base e creava la prosecuzione di un’ideologia. I numeri in tal senso sono impietosi. Si potrebbe obiettare che il quinto parlamentare molisano è di Liberi e Uguali, quindi di sinistra; ma il risultato è nato da una serie di fattori, sempre ricollegabili alla nuova legge elettorale ed il crollo in verticale del PD non è paragonabile al dato numerico di LeU, che anche nelle previsioni era considerato di almeno due-tre punti superiore. E’ un dato che non piace neanche agli storici oppositori della bandiera rossa, perché l’equilibrio dei conrtrasti garantisce una certa stabilità, mentre il dubbio generalmente alimenta il caos, o almeno il non-controllabile. Staremo a vedere se sarà così, ma non è detto. Potrebbe essere tutto indice di un nuovo modo di concepire la politica: come dice qualcuno ‘i tempi corrono’.

Stefano Manocchio

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