Carriero: necessario un confronto nel PD prima di decidere se “andare oltre” e semmai “verso dove e con chi”

Dopo l’ulteriore pesante sconfitta dei ballottaggi, tra elettori, i militanti e – finalmente – anche tra dirigenti del PD c’è una grande preoccupazione non disgiunta da senso di smarrimento.
Come ho avuto modo di commentare, leggo un po’ ovunque analisi ante e post voto, commenti più o meno entusiastici nel dire che il PD è definitivamente estinto e qualche minima proposta per ricominciare. Tutte riflessioni utili, senza dubbio, ma credo convintamente sia venuto il momento di affrontare la realtà e che, come afferma una cara amica e dalla quale ho preso spunto per questo intervento, nessuna ricetta ci può togliere la fatica di una vera discussione tra di noi.
Da dove ripartiamo? Dalla fatica, doverosa, di un dibattito sulle ragioni lontane e vicine di una sconfitta talmente grande da mettere in discussione l’esistenza stessa del Pd e della sinistra riformista nel nostro Paese. Infatti, prima di decidere se “andare oltre” e semmai “verso dove e con chi”, dovremmo provare ad organizzare questo necessario confronto.
Dalle politiche del 4 marzo ad oggi, e successivamente dalle regionali ed amministrative, non ho sentito di discussioni nei circoli (i pochi superstiti) ed in qualche sparuto/residuale organismo sul territorio, così come non c’è stata una vera discussione ed approfondimento nel gruppo dirigente nazionale su quanto accaduto.
Questo ha comportato nella cosiddetta “base” del PD il consolidamento di letture edulcorate e spesso autoconsolatorie, nonché di parte, che non ci faranno fare nessun passo avanti se non interviene uno scatto d’orgoglio e d’amore per questo partito, anche da parte del gruppo dirigente nazionale.
Preliminarmente, quindi, è necessario togliere di mezzo alcune di queste letture.
La prima: “è tutta colpa delle divisioni interne, di chi ha contrastato la leadership di Renzi”. Non sono certo tra quanti hanno sostenuto l’ex segretario, perché non lo ritenevo adatto a portare avanti il PD (e visti i risultati, avevo ragione) ed ho considerato sbagliata la scelta di coloro i quali hanno abbandonato il nostro partito, producendo una ulteriore lacerazione, ma non per questo credo sia possibile liquidare e giustificare così il misero 18% del 4 marzo. Tale deludente risultato è in realtà giunto dopo una serie non breve di insuccessi e di difficoltà; è stata negata la necessità di comprendere cosa stesse succedendo nel rapporto tra il PD e gli italiani e qualcuno addirittura è arrivato a scambiare il risultato negativo del referendum costituzionale per una “quasi vittoria”. Roba da” infermità mentale” politica!
La seconda: “tutta colpa degli italiani che non hanno capito quante cose buone abbiamo fatto dal governo e si sono lasciati abbindolare da Salvini e Di Maio e dalle loro promesse mirabolanti.” Tra tutte le letture, questa, è la più pericolosa perché ci impedisce di capire come mai quella che da sempre è definita la nostra gente si sia sentita abbandonata dal PD e si sia gettaai tra le braccia della Lega e dei 5S; il problema non è di queste due forze politiche, ma il nostro!
Il cuore del problema che dobbiamo affrontare, con umiltà ma anche innovazione del nostro pensiero, è cancellare davvero questa chiave di lettura, sicuramente semplificata ma che serpeggia nel popolo di centrosinistra in varie forme più o meno raffinate.
La terza: “è tutta colpa di Renzi, basta togliere di mezzo lui per risollevare le sorti del Pd”. Ovviamente non è così, perché innanzitutto quest’ultimo non si farà mai da parte e piuttosto continuerà nel dividere il PD ancora in mille piccoli rivoli e poi perché in Parlamento ha messo tutti suoi fedelissimi così come negli organismi del partito. Un po’ come in Molise, identica situazione, identico blocco.
Invece, a mio avviso, è giunto il momento di capire come possiamo uscire da questa crisi profonda e come sia possibile riallacciare una relazione positiva con tanti mondi che ci hanno voltato le spalle, anche perché non credo – contrariamente ai tanti – che l’era dei partiti sia finita. Dovrebbero smetterla “gli uomini” che fruiscono dei partiti per poi buttarli al macero!
E qui torna il concetto iniziale di “fatica” citato all’inizio. Serve una scossa, non possiamo rimanere aggrappati alle corde del ring come un pugile che le sta prendendo. Dobbiamo reagire, vedere le difficoltà di tutte le forze progressiste in Europa ma anche gli errori che abbiamo fatto noi come PD in Italia, ed in Molise, in questi ultimi anni.
Tra il 41% delle Europee (che non ritengo tutto merito del PD, ma che è comunque un dato di fatto) ed il 18% delle ultime politiche c’è un’occasione mancata, enorme, che va letta senza edulcorare nulla, soprattutto le differenze tra le anime del PD.
Una buona analisi di quanto accaduto in questi anni non ha nulla di obsoleto e può dare le risposte su ciò che dobbiamo fare ora per ripartire: lotta alle diseguaglianze, sviluppo sostenibile, ricostruzione di uno spirito di comunità, costruzione di un campo largo progressista e riformatore, solo per citare alcuni temi che da sempre sono del centrosinistra.
Del resto, banalmente, se abbiamo fatto tutto bene e le colpe sono tutte degli altri, non si comprende davvero su cosa fondare l’opposizione e, soprattutto, la costruzione di un’alternativa credibile a questo al Governo nazionale e regionale.
La domanda principale è dove vogliamo andare per essere utili ed a quali pezzi della società italiana ci vogliamo rivolgere.
Insomma, è finalmente giunto il momento di prepararsi ad un Congresso vero, nazionale e regionale, e non rimandabile a dopo le Europee del 2019 come qualcuno vorrebbe. Fare questo significherebbe la fine definitiva del PD, ma forse ciò è il desidera di qualcuno, ma non il mio!

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