Libia, piano per l’intervento italiano: pronti 250 soldati

La risposta alle richieste di Serraj di un aiuto militare mentre nelle ultime settimane si sono intensificati gli attacchi dell’Is ai pozzi petroliferi.
di VINCENZO NIGRO www.repubblica.it

Il governo italiano ha già pronti i piani per offrire una prima risposta al premier libico Fayez Serraj che ha chiesto l’aiuto dell’Onu per proteggere i pozzi e gli impianti di petrolio della Libia. Fonti della Difesa confermano che per difendere le organizzazioni internazionali a Tripoli (ambasciate Onu e Ue e altri uffici internazionali), in una prima fase l’Italia potrebbe schierare 250 uomini fra Esercito e carabinieri. Sarebbe il contingente più numeroso di una forza internazionale con le insegne Onu. Non sono i 900 uomini di cui parlano oggi alcuni mezzi di informazione, una disponibilità che è stata smentita da Palazzo Chigi e dal ministero della Difesa, anche se di sicuro nei piani della Difesa sono stati previsti impegni anche superiori ai 900 uomini. Palazzo Chigi però al momento precisa che i 900 soldati non sono stati messi ancora a disposizione né direttamente del governo libico e neppure delle Nazioni Unite.
La nota con cui Palazzo Chigi e la Difesa in parallelo smentiscono i 900 uomini ha chiaramente una ragione “tecnica” oltre che politica: al momento si è parlato di impegno militare internazionale solo per addestrare i militari libici o proteggere il governo. Non per andare in Cirenaica a combattere l’Islamic State che attacca i pozzi di petrolio o addirittura per schierarsi fra le diverse milizie libiche che potrebbero riprendere a combattersi nella guerra civile che è esplosa con forza nell’estate 2014.

Il momento è molto delicato: da domenica, quando Serraj ha fatto la sua prima richiesta di aiuto all’Onu, il gioco si è fatto molto più serio. In poche parole la Libia chiede aiuto militare, anche se manca una richiesta formale avanzata all’Onu. E allora bisogna comprendere le ragioni della richiesta di Serraj: Tripoli ha la necessità di fronteggiare i continui assalti dell’Islamic State nell’Est del paese ai pozzi e alle installazioni petrolifere di carico e di stoccaggio.

Nelle ultime settimane i miliziani del califfo hanno provato più volte ad attaccare i depositi e i check point della “Petroleum facilities guard”, la milizia guidata dal giovane rivoluzionario Ibrahim Jadran che da mesi ha assunto la protezione della maggior parte dei pozzi della Cirenaica. Venerdì scorso lo stesso Jadran è rimasto ferito lievemente in uno scontro, e questo ha fatto salire l’allarme nel governo Serraj, a cui Jadran ha giurato fedeltà.

Ma un altro elemento determinante in Cirenaica è il gioco del generale-ribelle Khalifa Haftar. Capo di una milizia che ha combattuto gli islamisti a Bengasi, Haftar di fatto tiene in ostaggio il parlamento di Tobruk e gli impedisce di votare a favore del governo Serraj. Nei giorni scorsi il generale ha ricevuto armi dagli Emirati Arabi Uniti, in violazione dell’embargo deciso dall’Onu. Nel porto di Tobruk sono stati scaricati più di 1000 veicoli da combattimento leggeri assieme ad armi e munizioni. I rifornimenti arrivano dagli Emirati Arabi Uniti, che assieme ad Egitto e Francia sono i grandi alleati di Haftar. L’Egitto usa Haftar per allargare la sua influenza in Cirenaica, sperando di acquisire il controllo di parte dei traffici di petrolio nella regione. La Francia invece è stata “agganciata” al carro egiziano soprattutto dalle forniture militari che il generale Sisi ha chiesto a Parigi. Una mossa simile a quella che la stessa Arabia Saudita aveva fatto con i francesi già ai tempi del negoziato con l’Iran sul nucleare, un negoziato in cui la Francia più volte a sorpresa aveva complicato il percorso prima di riuscire a raggiungere l’accordo finale.

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