Le lezioni del voto in Sicilia: disaffezione, clienti in calo, potere al computer

Il voto siciliano di domenica 5 novembre, con annesso addentellato del Municipio di Ostia, fornisce alcune utili indicazioni sull’evoluzione dello scenario politico economico e sociale italiano. In attesa dello show down delle politiche di inizio 2018 alcune tendenze sono evidenti, chiare e consolidate. Partiamo da un primo dato: la disaffezione verso il voto. Sia in Sicilia che, in misura ancor più accentuata ad Ostia, meno delle metà degli aventi diritto si è recato alle urne. Il fenomeno, a mio avviso, ha tre fattori concomitanti, di cui uno, quello più noto, negativo ed altri due invece meno funesti, o quantomeno di più complessa interpretazione. La prima causa, la più evidente è che la gente si è stufata di questa politica e quindi non ci crede più, non vota.

In un mondo in cui anche la Regina Elisabetta porta i propri soldi in paradisi fiscali la disaffezione, se non la sensazione di schifo verso le classi dirigenti ci sta tutta. Poi invece ci sono altri due fattori meno banali ma rilevanti, specie in chiave prospettica. Il primo lo esemplifichiamo con la Sicilia. Ai tempi d’oro in Sicilia alle regionali votavano praticamente tutti, anche i moribondi e o i freschi defunti. E votavano perchè il sistema delle clientele era nel pieno del suo splendore. Votare significava partecipare ad una grande spartizione di soldi pubblici, senza fatica e senza sudore. Votare significava acquisire un diritto, piccolo o grande che fosse, per reclamare un pezzo della torta, un posto di lavoro, una pensione, un appalto non importava.

Il venir meno del voto clientelare, evidente nelle affluenze della Sicilia di oggi, significa che un sistema distorto, inefficiente, odioso sta cedendo, almeno in una sua parte. Molti clientes hanno deciso che la lotteria è finita, e che non vale nemmeno il prezzo del biglietto, ossia la fatica di andare al seggio e votare. Altri continuano, è ovvio, ma se prima erano cento oggi sono 50. La verità è che di soldi pubblici ce ne sono sempre meno e la collettività vuole sempre di più servizi efficienti, non regalie o vite inoperose dietro una scrivania o accanto ad una foresta che non c’è. Passiamo adesso al terzo fattore, forse il più profondo ma i cui esiti non sono ancora facilmente decodificabili. Il potere politico, quello che da millenni regola le vite, dal re dei villaggi primitivi al faraone egiziano, dall’imperatore per arrivare ai premier o ai leader del mondo cosiddetto democratico, non è più così decisivo per la gestione di una comunità o di una collettività. In Belgio sono stati anni senza governo è non è successo pressochè nulla.

In Spagna, addirittura due anni di vuoto di potere e nuove elezioni e l’economia si è avviata da sola su una vigorosa ripresa economica. Si tratta di un fattore inquietante, che ha a che fare con l’innovazione tecnologica e la progressiva automazione dei processi produttivi e sociali. Anche questo motiva la scarsa affluenza al voto. Si tratta di pagare uno stipendio a delle persone che in cambio possono incidere poco, a volte pensano soltanto a come arricchirsi o concedersi una vita di agi a spese del contribuente. Che li eleggo a fare? Con questo non si vuol dire che la democrazia è morta ma che deve essere fortemente rivisitata, ed anche modernizzata. L’intuizione più felice del Movimento Cinque Stella resta per me la democrazia diretta ed in tempi immediati.

Urne, schede,scrutatori, leader, primi ministri cominciano ad essere un po’demodè o comunque non più efficaci come una volta. Dare al cittadino il diritto/dovere di decidere su tutti i temi della sua vita sociale e collettiva, grazie alla potenza dei computer, non è una chimera e forse sta diventando una necessità. Anche perchè se non lo diamo al cittadino, ci penseranno (e già ci stanno pensando) persone singole, come Mark Zuckeberg, Sergey Brin, Larry Page ossia Facebook, Google, Amazon, Apple et similia. (Pietro Colagiovanni)

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