La riflessione/ “Stavamo meglio quando stavamo peggio”

Il ritorno del Molise in zona bianca, anche se pubblicamente non ha lasciato spazio a reazioni particolari, è stato interpretato privatamente da alcuni come la ‘liberazione’ da una serie di regole e piccole restrizioni; interesse legittimo, per carità, che però necessita di una scelta di equilibrio perché è un dato certo che la pandemia non è sconfitta. Il rischio è che il clima di giubilo difficilmente porterà i più a rispettare la solita raccomandazione alla moderazione e ad una logica comportamentale ‘non estrema’; non voglio fare paragoni storici, ma finora ad ogni libertà riconquistata è seguito lo ‘sbraco’, che è una tendenza fondamentalmente innata nel popolo ‘italico’. La spasmodica attesa, poi, del 31 marzo per il ‘tana libera tutti’, da un lato porta alcuni a programmare il momento delle libertà totali e a rigenerare il cervello organizzando il recupero di socialità; nel contempo altri proveranno paura per lo stesso motivo. Sono i due partiti che si confrontano e scontrano da inizio pandemia. Nel mezzo tutti quelli che aspettano che arrivi la salvezza o l’Apocalisse, in senso figurato certo non quella biblica. La variante Omicron 2, che si sarebbe appena affacciata sul nostro territorio, lo hanno detto tutti, sarebbe più contagiosa ma speriamo meno pericolosa. Questo, però non vuol dire che arriverà subito ovunque; ma sarà bene non abbandonarsi a fare tutto quello che non si è fatto negli ultimi due anni, o almeno non contemporaneamente.

E’ vero che i conti con la storia si fanno alla fine e che allora si analizzeranno tutti gli aspetti, compresi gli errori e le responsabilità delle istituzioni e della gente comune, ma sarebbe sbagliato, credo, far passare il ragionamento: “adesso tutti senza mascherine, tutti ammassati, tutti abbracciati”. Il che non vuol dire clausura, riprendiamo gradualmente le abitudini, che tutti speriamo di ripristinare in pieno non troppo avanti nel tempo, ma controllando sempre la situazione del contagio per non farla nuovamente precipitare. E’ una scelta di giudizio, niente altro.

Non farò il sermone moralista, né addosserò tutte le colpe del contagio ai giovani, perché di tutto c’è bisogno adesso tranne che di tesi semplicistiche. Ognuno è libero d’interpretare in maniera estensiva o restrittiva gli orientamenti governativi, purché si rimanga nell’alveo delle regole minime stabilite e di sicuro i due ‘partiti’ continueranno ad avere comportamenti diversi, anzi opposti, tra loro. Non si tratta però di essere colpevolisti o innocentisti e sulle motivazioni ed i comportamenti che hanno fatto sì che, dopo oltre due anni dal ‘caso zero’ ancora non si sappia cosa succederà nei prossimi mesi, sarà la storia a fare chiarezza. Si tratta invece di capire senza colpevolizzare, in una logica di bontà ma non buonista.

“Stavamo meglio quando stavamo peggio”: quelli che come me sono mediamente anziani avranno sentito ripetere questa frase come cantilena; se decontestualizzata e rapportata ad un tempo di pace, comunque dice qualcosa. Generalmente è usata come scarico di responsabilità per negare il nuovo; diamogli invece una nuova chiave di lettura nel senso che è nella natura umana vedere grigio e quando stavamo ‘bene’, cioè prima dell’arrivo della pandemia, erigevamo steccati o ipotizzavamo problemi, vedendo nemici ovunque, senza parlarci, senza chiarire. Allora che la ripresa sia non il caos e lo sbraco totale, ma il recupero di socialità vero, la creazione di rapporti chiari e condivisi.

E’ il momento di ripartire da zero, ognuno secondo proprie regole ma rispettando quelle sulla sicurezza non negoziabili che vanno oltre le nostre competenze. Agire con coscienza, con o senza mascherina ma rimanendo in sicurezza, senza negare assembramenti o abbracci, ma solo nelle situazioni in cui non danneggino palesemente gli altri e sempre nel rispetto di regole minime, ma vitali. E’ una delle poche, forse l’ultima occasione per rialzarci e non possiamo permetterci di sprecarla.

Stefano Manocchio

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