Al 48% la pressione fiscale sui contribuenti onesti

La Cgia di Mestre in uno studio evidenzia che la pressione fiscale reale dei contribuenti italiani che versano fino all’ultimo centesimo tutte le tasse, le imposte e i contributi previdenziali chiesti dalla pubblica amministrazione è del 48%: quasi 6 punti in più rispetto al dato ufficiale, del 2018 attestato al 42,1%.

Tutti dicono che negli ultimi anni il peso complessivo delle tasse sia leggermente calato ,ma molti non se ne sono accorti, perché, contemporaneamente, sono cresciute le tariffe della luce, dell’acqua, del gas, i pedaggi autostradali, i servizi postali, i trasporti urbani, etc. dal punto di vista contabile, non rientrano nella pressione fiscale ma hanno effetti molto negativi sui bilanci di famiglie e imprese, soprattutto su quelle fedeli al fisco.

L’Ufficio studi Cgia ricorda che il nostro P.I.L come quello di molti Paesi Ue, include anche gli effetti dell’economia non osservata, questa ‘ricchezza’, riconducibile ad attività irregolari e illegali con dimensioni importanti non danno alcun contributo all’incremento delle entrate fiscali, pertanto, se dalla ricchezza prodotta scorporiamo la componente riconducibile all’economia ‘in nero’, il peso del fisco in capo ai contribuenti onesti sale inevitabilmente, consegnandoci un carico fiscale reale molto superiore a quello ufficiale.

Se abbiamo recuperato 7,6 miliardi di euro che hanno evitato la procedura di infrazione da parte dell’Ue ora dobbiamo, entro dicembre, recuperare 23 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e altri 10-15 miliardi per estendere a tutta la platea dei contribuenti la flat tax, insomma, per evitare un forte aumento dei prezzi di beni e servizi e per beneficiare di una decisa riduzione del carico fiscale, dovremmo recuperare in pochi mesi almeno 33 miliardi, impresa proibitiva.

Se negli ultimi anni la pressione fiscale ha conosciuto una leggera diminuzione, non è da escludere che nel 2019 torni a salire,  perché la crescita del Pil sarà contenuta e inferiore alla variazione registrata l’anno scorso.

Secondo l’Istat, nel 2016 (ultimo dato disponibile) l’economia non osservata ammontava a 209,8 miliardi di euro (pari al 12,4% del Pil): di questi, 191,8 miliardi attribuibili al sommerso economico e altri 17,9 ad attività illegali ,nel biennio 2017-2018 non ha subito variazione rispetto al 2016.

La pressione fiscale ufficiale, data dal rapporto entrate fiscali e Pil annuo (nel 2018 è al 42,1%),se dalla ricchezza del Paese (Pil) sottraiamo la quota del sommerso economico e delle attività illegali che, non producono gettito per le casse dello Stato, il prodotto interno lordo diminuisce (quindi si “contrae” il valore del denominatore) facendo aumentare il risultato che emerge dal rapporto tra il gettito fiscale e il Pil (48 per cento).

Con l’introduzione della fatturazione elettronica del 1° gennaio e dal 1° luglio è scattata una nuova scadenza per le partite iva con volume d’affari superiore ai 400.000 euro, l’obbligo di memorizzazione e di invio telematico dei corrispettivi, il rapporto fiscale tra aziende e Agenzia delle Entrate sta cambiando rapidamente senza portare sostanziali benefici in termine di riduzione delle tasse.

Gli studi di settore sostituiti dagli Isa sta mettendo in difficoltà gli addetti ai lavori, associazioni di categoria, commercialisti e piccoli imprenditori, che devono dedicare il loro tempo anche alla compilazione dei dati richiesti da tali “indicatori”, una rivoluzione che rischia di tradursi in un ulteriore aumento di costi legati alla burocrazia fiscale.

Alfredo Magnifico

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