CUCINA E DINTORNI/ il pesce in padella: meglio solo?

Raramente mi avvicino alla cucina di pesce che non sia quella tradizionale (risotto e rigatoni alla pescatora, spaghetti con le vongole o cozze, o allo scoglio, poche certificate ricette a base di pesce in bianco o con il pomodoro o alla griglia); ciò perché mi è stato insegnato che il pesce richiede un trattamento particolare, ingredienti a corredo determinati e non si può spaziare con la fantasia. Cito un esempio, da sempre impresso nella mia mente. Da giovane avevo un mentore termolese, con antenati pescatori, il quale diceva sempre che in cottura il pesce deve ‘riposare’, essere adagiato lentamente in pentola e disposto largo “perché altrimenti si stressa!”. Pensavo tra me e me come potesse stressarsi un animale morto; ma il senso era differente e riguardava la manualità per non farlo ‘sfraffare’ (scusate la rudezza, ma non ci sono sinonimi in grado di rendere ugualmente bene l’idea). La stessa persona poi aveva dato dei consigli, che per lui erano imposizioni: mai il pesce con il formaggio, quasi mai con i legumi (tranne che per seppie e piselli, precisava) e sempre con poco condimento, olio, pomodoro, poco aglio e prezzemolo, perché, anche quello di sapore deciso, non si deve mischiare con altri sapori, per non uscirne ‘inquinato’. Così gli era stato tramandato dai parenti pescatori e quella per lui era legge. Io, a mia volta, sono cresciuto ‘gastronomicamente’ con queste regole, inorridendo nel vedere abbinamenti improbi, prima di tutto quello con il formaggio. Tutto è andato bene finché non sono entrato in contatto con la cucina gourmet, soprattutto vedendo trasmissioni televisive a iosa: bene in una lo chef (stellato) proponeva spaghetti alici e pecorino, un altro gli spaghetti tonno e prosciutto (già andiamo meglio) e ancora con porro vongole e tartufi, calamari e ceci, spaghetti aglio, olio e peperoncino su crema di cavolfiore, gamberi e crema di piselli, filetto di branzino asparagi e vongole. Il castello costruito nel tempo è crollato, quando ho appreso che in Portogallo i calamari in padella vengono serviti con i ceci (interi non frullati e sono sicuro che saranno anche molto buoni) addirittura come antipasto. Alla fine mi sono rassegnato nel vedere ricette dove il pesce diventava blu (in un sito di altissima cucina) o viola, perché veniva cucinato con salse coloratissime e piene di ingredienti scuri,  poi ridotte per accentuare proprio la colorazione. Ora non voglio ripristinare la solita contesa tra tradizione e innovazione in cucina, ma veder caduto il mito delle frasi dette allora dal maestro-pescatore mi porta ad apprezzarlo ancora meglio. In conclusione, non mi distaccherò mai dagli spaghetti e vongole, dal brodetto tradizionale, dal pesce alla griglia, dal risotto ai frutti di male. Tolto il bianco, il rosso e il verde (e tratti di giallo) non voglio avere altri colori, se nel piatto c’è pietanza a base di pesce. Il progresso, per il momento, può attendere.

Stefano Manocchio

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