Cucina e dintorni/ Genuino vuol dire sano?

Il tema di discussione è sempre lo stesso: genuino vuol dire sano? Parlando con chi è avanti negli anni è facile sentirsi dire, ad esempio, che il vino ‘di casa’ è genuino perché non contiene conservanti, la salsiccia sotto sugna è genuina perché conservata al naturale, la pasta è condita con i pomodori dell’orto e via discorrendo. Tutto vero ed il sapore è sicuramente differente, l’insaccato è più ‘rude’ rispetto a quello in larghissima produzione, l’ortaggio ‘casalingo’ profuma, casomai anche in presenza di un colorito meno forte  ( la lavorazione industriale prevede, tra le altre cose, l’aberrazione della cosiddetta ‘colorina’ che matura ogni prodotto della terra in 24/48 ore). Eppure anche questa non è una garanzia perché, ad esempio, anche il prodotto della terra ‘genuino’ richiede assistenza e manutenzione, attenzione nella lavorazione, utilizzo di fertilizzanti naturali, ma di qualità, irrorazione costante; insomma un lavoro di competenza e tramandato negli anni, ma anche ‘tecnico’ e non certo economico. Dall’altra parte la lavorazione industriale, odiata dai cultori della terra ‘al naturale’, ma anch’essa di qualità, quando è al top. Prendiamo l’esempio classico, quello del vino; si dice che quello fatto in casa è genuino, ma, aggiungo io, non automaticamente è di qualità, perché può formare la posa, rimanere eccessivamente acidulo, essere ‘cotto’ per far aumentare il colore rosso e via discorrendo. Il vino industriale può essere scadente ed in questo caso non esiste termine di paragone; ma quando la lavorazione è alta (ad esempio nel Barolo, Chianti, Amarone ed altri) anche su imbottigliamenti con numeri importanti c’è la qualità, anzi il top della qualità. Voglio dire che ci vuole un metro di giudizio in grado di valutare tanti aspetti, senza preconcetti. Ultimo esempio: i fritti. Si dice che fanno male, se se ne abusa e sono considerati cottura ‘povera’, senza grande riguardo per il tipo di olio usato (ciò sia nella cucina casalinga che industriale), eppure vantano grandi eccezioni. La tempura è una frittura che richiede solo elementi di altissimo valore ed una lavorazione niente affatto semplice, come nella tradizione giapponese, che appassiona per la sua complessità, per i sapori sempre raffinati, per la maniacale cura dei dettagli; però consumare un arancino o un fritto napoletano in una bancarella di street food, igienicamente corretta, aggiunge al sapore ‘forte’ un valore aggiunto, quello della tradizione e della lavorazione niente affatto semplice. In ogni comparto della gastronomia, genuino non vuol dire necessariamente sano, come cucina moderna e di trasformazione non vuol dire insipida e raffinata; ad ognuno il suo, con rispetto per l’altro, perché la qualità alta si trova in ambo i casi. Restando in cucina, il paiolo e la padella vanno bene entrambi, se usati come si deve. Alla prossima.

Stefano Manocchio

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