Lettere in Redazione/ Centro storico di Campobasso e dintorni: non pervenuti

Riceviamo e pubblichiamo
Nella cittadina umbra che mi ha visto laureare e completare un percorso di specializzazione l’anima del centro storico sono i cittadini. Sì, proprio loro: loro che, a fronte di politiche comunali votate alla trascuratezza, si sono uniti e, dopo petizioni e richieste continue, hanno ottenuto ciò che giustamente reclamavano: la rinascita del centro storico.


Sono sicura che chiunque stia leggendo queste righe starà pensando alla rinascita in termini di nuovi esercizi commerciali, di riaperture di negozi che hanno abbassato le saracinesche. Ebbene, non è solo e tanto questo. I cittadini di quel centro umbro hanno sì recuperato alcune attività (eminentemente artigianali e di piccola manifattura) che si era deciso inspiegabilmente di porre nel dimenticatoio, ma hanno altresì rivitalizzato l’intera area in termini di vivibilità, offerta culturale ed artistica continua e non sporadica, aggregazione giovanile.


Come è stato possibile tutto questo? Poiché ho aderito ad alcune iniziative, posso dire con fermezza che tutto ciò è accaduto attraverso la sinergia fra le persone, cosa che manca nel capoluogo regionale. Grazie ad essa, per esempio, si sono recuperati interi stabili (tra l’altro, di indubbio valore architettonico) e sono stati adibiti o a sale mostra o a veri e propri appartamenti con tanto di garage. E qui vorrei sfatare un mito: dove è scritto che in un centro storico il piano terra degli edifici debba necessariamente ospitare attività commerciali e non un’autorimessa?

E’ giocoforza che se, come sta accadendo a Campobasso, in una stessa strada si susseguono esercizi simili, ci sarà, più prima che poi, chi sopravviverà e chi soccomberà. E dove starebbe l’imprenditoria locale, nel moltiplicare negozi d’abbigliamento, bar e pizzerie?
Altra cosa che è stata fatta nella cittadina umbra, sempre in un’ottica sinergica, è stato coinvolgere le parrocchie della zona per offrire ai giovani proposte di sicura crescita a 360°, con un occhio al bene della persona ed al recupero di valori che neanche certe famiglie ormai inculcano ai propri figli.


Ho sentito parlare della dismissione di locali di Piazza Pepe e limitrofi da parte della Provincia e del Comune: perché non si dialoga con la Cattedrale e con la chiesa di San Leonardo -un tempo fari di aggregazione per tutti ed ora inspiegabilmente opacizzate da una discutibile direzione- affinché questi giovani, anziché avere il loro “momento di gloria” sui quotidiani a seguito di un coma etilico, lo possano avere per un’iniziativa culturale, morale, ludica, sportiva che rispetti la loro persona e ne faccia emergere le qualità? Secondo lei lo può fare un pub piuttosto che una rosticceria?


Chiudo con un esempio: un po’ di tempo fa un mio parente, che insegna in una scuola di Caivano, centro poco più grande di Termoli alle porte di Napoli e crocevia delle losche attività della camorra, mi ha fatto visitare l’edificio scolastico. Sono rimasta colpita dal modo con cui il dirigente ed il corpo insegnante trattano gli alunni: li abituano a ripensarsi, quindi a rimettersi in discussione, quindi a costruire qualcosa di buono. Tanti di loro, grazie alle tecniche sapientemente messe in atto dal corpo docente, dalle dodici note disciplinari prese il primo anno, non solo hanno terminato il loro corso di studi con poche o zero note, ma hanno superato gli esami di Stato ed ora stanno seguendo un percorso per inserirsi nel mondo del lavoro.


Ecco, io credo che la parola chiave per Campobasso sia RIPENSARSI: questo va fatto con umiltà e con la voglia di rendere il capoluogo qualcosa di diverso dall’arido ammasso di case e strade che è adesso.
Con le renne illuminate di villa Musenga si rischia di non vedere tutto questo, eppure, se ce la stanno facendo realtà ben più problematiche della nostra, non si vede perché non dobbiamo farcela anche noi.
La ringrazio per l’attenzione ed auguro a lei ed a tutta la redazione un Natale di speranza

Mariapaola De Bernardis

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