Lettera aperta al sindaco di Campobasso sullo stato del cimitero

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di una cittadina relativa allo stato in cui versa il cimitero del capoluogo.

Egregio signor Sindaco della mia città, Luigi Di Bartolomeo,
rivolgo a Lei questa mia con l’unico e solo scopo di aprire il mio cuore e avere, in seguito, una risposta da Lei in quanto primo cittadino. Il giorno 5 agosto 2010, alle ore 18 circa, ha avuto inizio la fine della mia vita e della mia famiglia. Quel maledetto pomeriggio di piena estate mio figlio Gabriele ha perduto la vita in un tragico incidente stradale. Stava tornando a casa, me lo aveva promesso, ma non è mai più tornato, noi lo aspettiamo ogni istante della nostra vita che, mi creda, di vitale non ha più nulla.

La nostra si può definire un’esistenza ove rimangono vivi nel nostro cuore solamente dolore e lacrime, accompagnati dalla rabbia incontenibile. Di quel tragico pomeriggio mi restano pochi, confusi, dolorosissimi ricordi. Ho indelebile dinanzi a me il volto di due militari dell’Arma che, con imbarazzo, attendevano di darmi “la notizia”. “Signora, lei è la mamma? C’è stato un incidente. Gabriele è morto!”. Non si tratta di una notizia qualsiasi, del tipo “signora, lei è la mamma? Gabriele si è fratturata una gamba, un braccio sta in ospedale ma stia tranquilla, è vivo”. No, la notizia riguarda la morte di una giovane vita e l’inizio della fine di tutta la sua famiglia.
Gabriele era un bravo ragazzo, un bravo figlio, un amico leale, sincero e soprattutto un volontario soccorritore della Croce Rossa Italiana. Un ragazzo che ha dedicato gli ultimi dieci anni della sua vita al prossimo. Aveva tanti sogni e progetti volati via insieme a lui. Il 18 novembre di quell’anno avrebbe conseguito la Laurea in Scienze Infermieristiche per poter diventare in seguito infermiere di area critica. Voleva poter guidare l’elisoccorso, voleva far parte dell’esercito della CRI. Voleva vivere!
Signor Sindaco, quanto è accaduto alla mia famiglia è una tragedia ritenuta, ormai, di tutti i giorni. Fin dal momento in cui avviene un incidente stradale mortale, si avvia una macchina spietata nella famiglia della Vittima che è costretta ad affrontare un “dopo” inspiegabile. Mi domando, non dovrebbe essere facile capire come si presenta il “dopo” aver appreso la notizia della morte di un figlio? Il “dopo” è buio, è vuoto, è smarrimento, è confusione. E’ una realtà che non può appartenere a me, a te, a noi. E’ una realtà che non dovrebbe appartenere a nessuno. E’incredulità. E’ un trauma indelebile e costante che cresce, giorno dopo giorno. E poi, quello che pesa di più in una famiglia colpita dal dolore più grande in assoluto è la solitudine. Il sentirsi fuori dal mondo. Abbandonati proprio dalle Istituzioni che dovrebbero invece, a parer mio, supportare una famiglia che, all’improvviso, si trova sbattuta di fronte, violentemente, una realtà surreale.
Mai e poi mai avrei immaginato che, un giorno, mi sarei dovuta recare all’obitorio di un cimitero, per andare a vedere mio figlio Gabriele.
La forza di una madre non conosce paure, non ho esitato a percorrere quella strada, tanto maledetta, per giungere in quel luogo ove si trovava mio figlio. Io volevo vederlo…ma ero sola!
Se qualcuno oggi mi chiedesse cosa si prova nel vedere un figlio immobile, adagiato in una bara, con indosso la sua amata divisa arancione della CRI lo guarderei negli occhi augurandogli, in silenzio, di non provare mai e poi mai, un dolore tanto disumano e straziante. Un genitore, fin dai primi attimi di vita di un figlio cerca di offrirgli quanto di più bello la vita propone. Avrei voluto vedere realizzato il suo presente e il suo futuro. Avrei voluto stargli accanto nei momenti felici della sua vita. Ma a volte la vita, nella sua crudeltà, mette a dura prova una famiglia costringendola a versare lacrime di sangue e dolore. Di quella sera ricordo la mia casa piena di gente, ho visto famiglie intere varcare la soglia della mia abitazione alla ricerca di me, del mio volto, di come stavo. Ricordo che in tanti mi dicevano “ma noi l’abbiamo saputo dal Tg3, da Telemolise, da Facebook”. E, ancora “su FB è stata pubblicata la foto di Gabriele e anche la macchina, distrutta”. Mio Dio, mi chiedo ancora oggi, com’è possibile che noi siamo stati gli ultimi a saperlo? Dopo due ore? Ritengo inaccettabile che solo perché si ha la possibilità di mettere ogni notizia in internet, si è autorizzati a mettere in rete tali tragedie prima che siano informate le famiglie. Non perdonerò mai la stampa locale, i fotografi che erano presenti sul posto del sinistro mortale. No, non posso perdonarli. La morte di un figlio è un dramma, non è una notizia. Pur comprendendo il lavoro degli organi di informazione, resta saldo il principio di divulgare quanto avvenuto solo dopo essersi accertati che la famiglia sia stata informata.
Il dolore per la perdita di Gabriele ci ha fatto precipitare in un tunnel senza uscita e senza luce.
Il prossimo 5 agosto saranno quattro anni da quel giorno. Ogni giorno, varco la soglia del cimitero della mia città per andare a salutare mio figlio; cammino con gli occhi bassi e riconosco ogni sasso per terra, ogni pianticella nata per caso. Oramai la strada per giungere alla cappella dove riposa mio figlio mi porta da lui senza che me ne renda conto, mi guidano gli occhi pieni di dolore e di lacrime. Penso e, inevitabilmente, vedo. Penso alla richiesta che ho presentato al Comune di Campobasso il 2012, finalizzata alla possibilità di avere concesso un “piccolo” suolo comunale nel Camposanto della mia città per la costruzione di una “piccola” Cappella che mi dia la possibilità di trasferire Gabriele da dove attualmente riposa. Non perché ove riposa non stia bene, anzi. E’ solo un mio disperato desiderio quello di sapere che il giorno in cui chiuderò per sempre gli occhi potrò, finalmente, stare accanto a mio figlio. Prima di quel giorno, avevo il desiderio di costruire, per i miei figli una casa, di certo non una cappella in un cimitero. Purtroppo la vita presenta una realtà incomprensibile e inaspettata.
Tuttavia alla mia richiesta il Comune di Campobasso ha risposto, verbalmente, che non posso avere il suolo in quanto non ve n’è di suolo disponibile. Voglio aggiungere, inoltre, che la ditta alla quale mi sono rivolta, mi ha risposto che non ha l’autorizzazione per far iniziare i lavori attinenti la costruzione di nuovi loculi.
Vede sig. Sindaco, mi vedo con le spalle al muro: niente cappella e niente loculi. E ciò potrebbe andar bene se, ogni giorno, non vedessi proprio al Cimitero, sbattute davanti ai miei occhi, grandi cappelle gentilizie che non comprendo come possano stare in quel luogo sacro.
“A livella” di Totò non ci ha insegnato nulla, proprio nulla, purtroppo .
Non ho niente da obiettare davanti alla presenza di cappelle cimiteriali, anzi, ma a stupirmi, lasciandomi senza parole, è la loro grandezza spropositata. Quello che mi indigna è lo sfarzo delle costruzioni. E’ la volontà di ostentare la ricchezza con la quale sono costruite. Una fastosità che, a parer mio, è fuori posto. Vedo costruzioni, di ampissima metratura, che non dovrebbero stare in quel luogo sacro. Ammiro indignata vetrate enormi e colorate situate, in bella vista, in una enorme villa edificata su due piani comunicanti tra loro, mediante una scala a chiocciola in ferro battuto. Mi chiedo, quante cappelle potevano essere costruite in quel suolo comunale? Certo sono importanti i soldi, si sa che con i soldi ci si può permettere tutto ma i soldi, in quel luogo, non sono tutto. Anzi, non devono essere tutto. Soprattutto se, con i soldi, si ostenta un lusso spropositato. Vorrei ricordare che siamo in un Cimitero e quel suolo è comunale. E allora la mia domanda è: come è stato possibile approvare progetti inidonei a un Cimitero? Va da sé il motivo per cui, attualmente, il Comune non dispone di suolo per poter dar modo ad altri cittadini di costruire ” piccole” Cappelle. Appare chiaro che, nel passato – non so se anche oggi – il Comune di Campobasso ha concesso a dismisura, suolo comunale sito nel Camposanto. Mi creda, sig. Sindaco, nel vedere queste costruzioni, ove è ostentata la grandezza, mi sento ferita e umiliata. Sono una cittadina molisana come tante.Una mamma che si reca al Cimitero della città dove risiede con gli occhi gonfi di lacrime e, mi creda, non è bello essere costrette a vedere, ogni giorno, ciò che, con il cuore, non si comprende.Certo Lei mi potrà dire che non ha colpa e che bisognerebbe volgere lo sguardo alle Legislature precedenti alla sua, ma oggi è Lei il sindaco della mia città. E’ lei il primo cittadino e, sicuramente, solo Lei potrà darmi una risposta che non sia la solita che sento ormai dal 5 agosto 2010 e che ogni volta recita più o meno così: ” signora, lei ha ragione!”. Basta. Non mi serve che mi si dia ragione perché so di averla. Le Istituzioni preposte hanno l’obbligo di tutelare tutti i cittadini che sono consapevoli dei loro doveri, ma che conoscono anche molto bene i loro diritti. Le famiglie che sopravvivono alla morte di un figlio che promette di tornare a casa ma che, invece, viene condotto all’obitorio del cimitero più vicino, per essere riconosciuto, non sono costituite da persone “normali”, non possono esserlo più. Ritengo invece che debbano essere sostenute da chi ha il potere di farlo, da chi è preposto in quanto organo competente.Per concludere, Sig. Sindaco mi basterebbe solo una risposta, una sana risposta che dia una leggera pace al mio cuore. Ora in solitudine stiamo percorrendo una strada difficile che vede una famiglia impreparata a dover affrontare, all’improvviso, una realtà parallela; abbiamo davanti a noi un’esistenza difficile ma resa ancor più ardua e impossibile se lasciati ulteriormente soli.
Ringraziandola anticipatamente, resto in attesa di una risposta.
Carmen Fichera Caccavaio

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