“Jo Paolo Saverio Di Zinno”

di Massimo Dalla Torre

Sicuramente potrà sembrare strano il titolo che è la firma dell’ideatore dei misteri. Un personaggio di cui si è scritto molto specialmente in occasione del suo trecentesimo compleanno che è caduto lo scorso 3 dicembre. Personaggio che nei secoli ha acceso la fantasia dei cultori delle tradizioni e della storia locale.

Un artista caro ai Campobassani quanto il Castello Manforte altro simbolo che contraddistingue il capoluogo della ventesima regione d’Italia.Figlio del popolo e operante per il popolo che, nel corso della sua vita, ha dato corpo alla spiritualità più pura non solo attraverso gli ingegni che, ancora ci affascinano ogni qualvolta li si ammirano,prova ne sia la sfilata di domenica 2 dicembre di cui non si sono ancora spenti gli echi, nonostante le critiche, ma anche con statue ed immagini sacre che addobbano numerose chiese sia in regione che fuori.

Eppure, di Paolo Saverio Di Zinno, non si è compreso appieno l’animus e di come questo l’ha spinto a dedicarsi alla creazione di veri e propri capolavori. Di artisti Italiani del settecento gli annali sono pieni, specialmente quelli che riguardano questa porzione di Paese in cui il benessere era un miraggio, anzi un’utopia.Artisti protratti, a realizzare a sentimenti che oggi difficilmente si riscontrano, perché i valori sono profondamente cambiati. I quali, all’epoca si palesavano con gesti, quasi routinari quali; il lavoro nei campi e nelle botteghe, che erano il motore propulsore di una comunità schiava dei capricci di chi dominava e si arrogava il diritto di prendere decisioni per gli altri.

Oggi che la situazione sotto certi aspetti è cambiata, anche se c’è ancora qualcuno che crede di essere “il signorotto” e ci fa vergognare di essere nati nella nazione della cultura, quei valori ci spronano e ci incitano a riscoprire le radici che sono andate perdute. Radici che ci parlano,ci chiamano, gridano e fanno sì che la tradizione torni prepotentemente ad affacciarsi nelle nostre menti figli del consumismo sfrenato. Radici che si possono ritrovare proprio nelle 13 macchine che, nella loro semplicità più disarmante s’ingigantiscono ogni giorno di più. 13 simboli di popolarità più pura, non nel senso della parola, bensì come espressione del popolo che li vide nascere dal fuoco e dal forgiare il metallo. 13 simboli che ss fondono tutt’uno con il Di Zinno.

13 simboli che sono la personificazione non solo del lavoro di un artigiano, partito da Campobasso alla volta di Napoli per apprendere la difficile arte scultoria, ma quello che l’artista sentì all’atto in cui immaginò il volo degli angeli e lo stridore dell’inferno moniti di una spiritualità scevra da ampollosità che il popolo temeva. 13 simboli che annualmente rinnovano un patto tra la nostra città e quelli che sono gli eredi di chi in Via Sant’ Antonio Abate operò affinché il suo lavoro non andasse vanificato, perso, distrutto e che nel giorno del Corpus Domini trova la sua rinascita, la sua apoteosi.

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