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#corpedelascunzulatavecchia/”… la moria delle vacche, come voi ben sapete…”

Notizia di questi giorni, come avrebbe detto Totò: “la moria delle vacche”, nel senso degli
allevamenti (stalle in “indialetto” puro) che in questi mesi,o addirittura giorni, in Molise hanno chiuso.

Il lavoro tanto vituperato degli agricoltori, qui nello specifico degli allevatori, non porta più al raggiungimento di un reddito quindi l’azienda chiude. Senza se e senza ma l’azienda chiude!!!

L’allevamento in Molise è stato sempre fonte di reddito per gli agricoltori passati da un’agricoltura, e quindi un allevamento di sussistenza ad un’agricoltura per così dire industriale dove l’agricoltore, il contadino diventava un vero e proprio imprenditore con registri, tabelle, protocolli da seguire e regole da rispettare.

L’agricoltore è stato costretto a scindersi, ma non dimenticando mai la sua origine di grosso lavoratore e di amante della terra. La razionalizzazione delle aziende, il rispetto di tutte le norme, alle volte giuste, altre volte capestro, come in tutti i campi, ha portato a far crescere le aziende per cercare di sopravvivere al mercato che chiedeva sempre di più dando sempre di meno, come nel caso del prezzo del latte.

Il nostro imprenditore agricolo è stato costretto nel corso degli anni a passare più tempo dal commercialista che non dal perito agrario, più tempo alla ASL per il rilascio di certificati ed attestati che non nella stalla a curare le proprie bestie. È stato costretto, sono stati costretti, ad inventarsi, i nostri imprenditori agricoli, un mercato lecito, della manodopera che doveva essere tutta particolare. In agricoltura i primi a scappare via sono stati gli italiani, ma questo decenni fa.

Hanno scelto di lavorare, nel caso nostro molisano, nell’edilizia o nell’industria. Lasciando le campagne che stanno diventando sempre più incolte, in contraltare si sperava in un
miglioramento della propria situazione economica e lavorativa ma non si era fatto il calcolo con la crisi dell’edilizia.

Chi ha deciso di rimanere, e quelli che per crisi varie ci sono tornati o arrivati, in agricoltura lo ha fatto il più delle volte prendendo in mano l’azienda di famiglia e facendola crescere.

Far crescere un’azienda agricola è molto più impegnativo di quasi tutte le altre aziende.
Innanzitutto dobbiamo sapere che i giorni in un’azienda agricola sono diversi solo sul calendario e per la raccolta dei prodotti o per i lavori da fare. Per il resto non esistono feste patronali, feste religiose ma neanche festività soppresse.

La giornata inizia la mattina alle quattro, anche con mezzo metro di neve fuori, per accudire le mucche che danno il tanto bramato latte che poi si trasformerà in ORO BIANCO, ma per adesso è solo latte munto che viene affidato ad un raccoglitore che lo porterà al caseificio.

Ma quante e quali persone ci vogliono per raccogliere, mungere un litro di latte? Ovviamente dipende dalla grandezza dell’allevamento ma iniziamo a parlare di chi ci lavora. Inizialmente era solo la famiglia, ma nel corso del tempo si è dovuto ricorrere a personale “esterno”. La fuga dalle campagne e la crescita delle aziende aveva portato a questo. In primis furono gli albanesi che sbarcando sulle nostre coste si offrirono volentieri per fare di questi lavori, successivamente arrivarono i rumeni, attualmente sembra siano indiani. Immaginate un indiano di religione indù che lavoro con le mucche.

Per un credente è quasi il massimo. Dissertazioni religiose a parte bisogna prendere in considerazione lo stato di emigrante o peggio di migrante di chi si occupa di questi lavori.

Sono sempre persone che, giustamente, fanno del “quanto sa di sale l’altrui pane” il loro motto di vita. Persone che cercano il meglio avendo lasciato la loro terra e che si spostano senza problemi lasciando il datore di lavoro con il “cerino in mano”. Tutto nel lecito sia ben chiaro, ma i sostituti non si trovano dietro l’angolo.

Quindi ci troviamo di fronte ad imprenditori che con qualsiasi tempo, in ogni stagione, lavorano anche 15 o 18 ore al giorno per mandare avanti l’azienda. Alla loro legittima richiesta di qualche centesimo di aumento del prezzo del latte si alzano le barricate dei casari che devono proteggere il prezzo finale per poter continuare a vendere. Non so se sia una guerra tra poveri o una lotta di potenti contro deboli, quando diventerò esperto lo saprò. Intanto ci troviamo di fronte ad imprenditori agricoli che stanno chiudendo, una Regione Molise che nicchia e non si sa come e cosa vuole fare per salvare una parte della nostra economia che potrebbe essere portante di turismo, commercio e quindi di reddito di cui potrebbe beneficiare tutto il territorio.

Assessore Cavaliere e Presidente Toma, nella vostra importante veste di governanti di questa regione cosa si può fare per tirare fuori da questo pantano gli allevatori, quelli che sono rimasti, e quindi salvare tutto il settore, con indubbio vantaggio anche per tutta la filiera?

I problemi dell’agricoltura sono ANCHE i cinghiali!

Affranto, ma con affetto e stima: statevi arrivederci.

Franco di Biase

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