Separazione e divorzio: è più facile dirsi addio

Gli ultimi anni hanno visto un crescente interesse del legislatore per le questioni inerenti la crisi della famiglia tradizionale, imperniata sul matrimonio. Le nuove norme, come vedremo, hanno l’effetto non solo di semplificare le procedure, ma anche e soprattutto di accorciare i tempi per dirsi addio. In particolare, Il decreto legge 12 settembre 2014 n. 132, convertito con Legge 10 novembre 2014, n. 162, agli artt. 6 e 12 ha apportato, tra l’altro, consistenti novità in materia di separazione consensuale e divorzio consensuale.
Oggi, quando è comune la volontà di porre fine al matrimonio, i coniugi, piuttosto che ricorrere al Tribunale, possono rivolgersi direttamente ad un avvocato di fiducia che li assisterà nella formalizzazione di un accordo di separazione o divorzio; tale accordo, detto “di negoziazione assistita”, debitamente sottoscritto dai coniugi stessi, si sostituisce pienamente alla sentenza di separazione e divorzio, con evidente risparmio di tempo da parte degli interessati. È previsto che ciascun coniuge sia affiancato da un avvocato, di modo che, pur essendo comune l’intenzione di separarsi, le parti vedano tutelati i propri interessi nel miglior modo possibile; ciò appare necessario se si considera che questa procedura in genere non prevede l’intervento di un giudice terzo ed imparziale e che con l’accordo si regolano anche le modalità della separazione (si pensi al mantenimento, all’attribuzione della casa familiare ecc.), di solito nodo dolente nell’ambito della crisi di coppia.
La negoziazione assistita è ammessa sia nel caso di separazione che di divorzio consensuale, ma anche per ottenere la modifica delle condizioni di separazione o divorzio già eventualmente stabilite; è inoltre possibile avvalersi di questa procedura anche in presenza di figli minori o in presenza di figli maggiorenni incapaci, maggiorenni economicamente non autosufficienti o maggiorenni portatori di handicap grave.
In questo caso, però, la legge prevede un iter in parte diverso ed “aggravato”.
Se in generale (coppia senza figli o con figli maggiorenni), firmato l’accordo di negoziazione, l’Avvocato della parte provvede a trasmetterlo al Procuratore della Repubblica per un semplice nulla osta agli adempimenti successivi (trasmissione entro 10 gg all’Ufficiale dello stato civile del Comune ove il matrimonio fu iscritto o trascritto), quando ci sono figli minori o maggiorenni incapaci, non autosufficienti o portatori di handicap grave, il Procuratore della Repubblica ha l’obbligo di valutare se l’accordo risponde agli interessi dei figli. A questo punto, o autorizza l’accordo, che verrà quindi trasmesso all’ufficiale dello stato civile per gli adempimenti successivi, oppure, se ritiene che l’accordo raggiunto non tenga adeguatamente conto degli interessi dei soggetti deboli e meritevoli di tutela coinvolti nella crisi coniugale, entro 5 giorni lo trasmette al Presidente del Tribunale competente che fissa la comparizione delle parti nei trenta giorni successivi.
La legge in commento prevede anche la possibilità di rivolgersi direttamente al Sindaco (quale ufficiale dello stato civile) del Comune di residenza di uno dei coniugi ovvero del Comune in cui è stato iscritto o trascritto l’atto di matrimonio, purché non siano presenti figli minori, maggiorenni incapaci, maggiorenni economicamente non autosufficienti o maggiorenni portatori di handicap grave. La negoziazione assistita davanti al Sindaco prevede l’assistenza puramente facoltativa degli avvocati, ma l’accordo ricevuto non potrà contenere patti di trasferimento patrimoniale.
Del resto, è utile qui sottolineare quanto può risultare importante essere assistiti dai propri legali di fiducia anche se si sceglie di formare un accordo dinanzi al Sindaco: ed infatti, in un momento che già di per sé può risultare complesso e confuso, stante la carica emotiva che di norma accompagna la fine di un matrimonio anche quando la scelta di porre fine al rapporto proviene da entrambi i coniugi, è fondamentale avere un quadro completo e preciso delle conseguenze che derivano dalla separazione o dal divorzio. L’avvocato, in questi casi, oltre ad offrire una risposta puntuale ad ogni eventuale dubbio legale che sorga nel corso della negoziazione, garantendo un’informazione corretta all’assistito, può consigliare anche le scelte da intraprendere a presidio dei propri interessi, mediare e, cosa di non poco conto, può valutare preliminarmente la validità e l’attuabilità dell’accordo.
È evidente che la negoziazione assistita costituisce una vera e propria rivoluzione in materia, rendendo sufficiente un “contratto” per porre fine ad un matrimonio (nel rispetto dei presupposti e dei limiti previsti). Di certo, rispetto al passato, quando si richiedeva sempre l’intervento di un Tribunale, oggi si assiste ad un’efficace semplificazione della procedura con tempi di sicuro più brevi e costi più contenuti.
E proprio sui tempi del divorzio ha inciso la L. 6 maggio 2015, n. 55, pubblicata in Gazzetta ufficiale lo scorso 11 maggio.
L’intervento legislativo, infatti, completa il quadro delle misure acceleratorie in materia di divorzio e di separazione di cui si è detto: in particolare nel caso delle separazioni giudiziali, per ottenere una pronuncia di divorzio, saranno sufficienti 12 mesi di separazione ininterrotta e non più 3 anni. Analogamente, quando la separazione è consensuale, o in caso di trasformazione da giudiziale a consensuale, sarà sufficiente un periodo di 6 mesi di separazione ininterrotta per poter proporre domanda di divorzio. Il termine decorre dalla comparsa dei coniugi di fronte al Presidente del Tribunale nella procedura di separazione personale o, nei casi di ricorso alla negoziazione assistita, dalla data certificata dell’accordo raggiunto.
Ciò indipendentemente dalla presenza o meno di figli minori! Questo è, forse, il nodo più controverso della riforma. Aspre le critiche della Cei: il matrimonio sarebbe così derubricato a mero contratto, con grave pregiudizio per il diritto dei bambini a crescere in una famiglia.
Al di là di ogni presa di posizione moralmente e/o religiosamente orientata, è d’obbligo tuttavia suggerire che secondo alcuni studi condotti dagli psicologi è la conflittualità tra i genitori, più che la separazione in sé e per sé, a produrre gli effetti negativi sul benessere dei figli. Ben vengano, allora, gli interventi normativi in grado di attenuare e limitare, seppur indirettamente, tale conflittualità.
Un’ulteriore novità riguarda, inoltre, lo scioglimento anticipato della comunione legale. Fino ad oggi, infatti, ai sensi dell’art. 191 c. c. la comunione legale si scioglieva con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale o del decreto di omologa della separazione consensuale. Con la riforma, invece, in caso di separazione giudiziale, lo scioglimento avviene nel momento in cui il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, mentre, in caso di separazione consensuale, dalla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione dei coniugi dinanzi al presidente, purché successivamente omologato.
La modifica legislativa consente, dunque, di definire fin da subito i rapporti patrimoniali tra coniugi in regime di comunione legale senza dover attendere l’esito definitivo del giudizio di separazione o eventualmente avviare un autonomo giudizio di divisione in pendenza di quello di separazione. L’importanza di tale intervento è notevole. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, a tutti quei casi in cui, nelle more del procedimento di separazione, e vigendo la comunione legale dei beni, uno dei coniugi disponga di beni comuni, sottraendoli di fatto al patrimonio familiare.
La legge sul “divorzio breve” entrerà in vigore il prossimo 26 maggio ma – si noti – essa troverà applicazione oltre che alle domande di divorzio avanzate successivamente, anche ai procedimenti di separazione ancora pendenti in quella data: è quanto stabilisce l’art. 3 della legge medesima.
Dr.ssa Annarita Di Lecce – Studio Legale Tolesino

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