Rimborso spese legali: quando gli amministratori la smetteranno di considerare le casse dell’ente locale come un bancomat personale?

Ho letto qualche tempo fa alcune delibere adottate da una Giunta municipale basso molisana in merito alla nomina di alcuni legali per difendere amministratori e funzionari comunali che sono stati citati in giudizio per danno erariale. Nomine a carico del bilancio comunale e quindi dei cittadini.
Forse è il caso di fare un po’ di chiarezza in merito, essendo tema dibattuto ed utilizzato alle volte anche impropriamente, a seconda della convenienza.
La portata delle disposizioni normative in merito al rimborso delle spese legali da parte dell’ente locale ad amministratori (ed amministrativi) comunali, è stata – nel tempo- ben inquadrata dal diritto pretorio che ha evidenziato, in proposito, come l’assunzione a carico dell’ente dell’onere relativo all’assistenza legale del dipendente (e, per estensione giurisprudenziale, degli Amministratori), non sia poi così automatico come qualcuno vuole far credere, ma sia subordinato e vincolato al verificarsi di una serie di presupposti e di valutazioni, cui l’ente è tenuto.
Il tutto è necessario per una maggiore trasparenza, efficace ed economica gestione delle risorse pubbliche.
Quando l’Amministrazione decide di accollarsi l’onere (qualora, non vi sia “conflitto con l’ente“), è tenuta a valutare inizialmente che la vicenda processuale non abbia esiti che si possano ripercuotere negativamente sugli interessi del comune e che non venga intaccata la sua immagine pubblica.
Questo comporta, nel caso appunto di un procedimento contabile, civile o penale che coinvolga dipendenti o amministratori dell’ente, ed in relazione a fatti commessi nell’esercizio delle loro funzioni, un preventivo ruolo attivo dell’Amministrazione, evitando che l’intervento ex post si risolva in un mero ed acritico rimborso al soggetto citato, peraltro senza limiti di spesa.
Tra i punti fermi, al fine della legittima ammissione alla fruizione delle condizioni di cui alla normativa vigente, è necessario che:
sussista l’esigenza di tutela di interessi e di diritti facenti capo all’ente pubblico;
il procedimento giudiziario si sia concluso con una sentenza di assoluzione piena nel merito;
venga esclusa una eventuale responsabilità del tipo disciplinare o amministrativo.
Inoltre, non è sufficiente, ai fini dell’insorgenza del diritto al rimborso delle spese sostenute per l’assistenza processuale, che il processo penale per i fatti connessi all’espletamento di compiti d’ufficio si sia concluso con l’assoluzione, ma occorre altresì l’insussistenza di interessi confliggenti tra l’amministratore e l’ente.
Quindi, anche una condotta non sanzionabile penalmente può dare luogo ad un conflitto di interessi se posta in essere in violazione delle norme che regolamentano l’azione amministrativa, così come non devono emergere comportamenti illegittimi o inopportuni, che integrino una deviazione dal fine pubblico e siano pertanto connotati da eccesso di potere.
Se poi ci aggiungiamo l’orientamento restrittivo di Cassazione e Corte dei conti circa la discutibile estensione agli amministratori (percettori di indennità) della disciplina prevista per i dipendenti degli ee.ll. (stipendiati), per i quali esiste vero e proprio contratto di lavoro con l’ente e non certo basato su mandato elettorale, diventa, nonché la possibilità prevista dal TUEL, prima, e dalla L.125/2015, ora, di assicurare gli amministratori contro i rischi conseguenti al mandato– a mio avviso – tutto più leggibile.
In tutto questo, come già detto, resta fondamentale l’assoluzione piena alla fine di un procedimento giudiziario, mentre desta legittime e forti perplessità l’aver “accollato” all’ente in via preventiva ogni spesa per la difesa.
Insomma, viene da chiedersi: quando gli amministratori (ed anche ex) la smetteranno di considerare le casse dell’ente locale come un bancomat personale?

Costanza Carriero

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