Molise, da Contado a Feudo!

I tentativi di Vincenzo Cuoco, Giuseppe Maria Galanti, Francesco Longano, Libero Serafini, Andrea Valiante, Domenico De Gennaro, Prosdocimo Rotondo, e a seguire di Nicola Santangelo, Giuseppe Zurlo, Gabriele Pepe, Tito Barbieri, Igino Petrone, Francesco Rossi, Masciotta, D’Ovidio, Formichelli, Giovannitti, Iovine, Crapsi, Tedeschi, Petrocelli, Marraffini e altri, di far alzare la testa al Molise per fargli acquisire una mentalità post-feudale si sono scontrati con resistenze culturali profonde orientate ad accettare il principio di non mettere mai in discussione il potere e chi lo esercita. Raramente nella storia locale ci sono stati momenti di rivolta popolare salvo gli episodi fomentati dai Borbonici sia nel 1799 con la devastazione di Casacalenda e Gambatesa, che nel 1860 con l’assalto contro i Garibaldini ad Isernia. I rari sprazzi di lotta contro il feudalesimo come la causa che contrappose il Barone Iapoce e i suoi eredi per 230 anni ai cittadini di Campodipietra sono un eccezione, come l’occupazione ad opera dei braccianti della CGIL delle terre incolte degli agrari nel dopoguerra; nel mentre molto più frequenti sono stati occasionali ribellioni con incendio del comune per soprusi, fame e tasse, come a Cercemaggiore o a San Giuliano di Puglia durante il fascismo. La lotta sociale più costante, per sottrarsi allo sfruttamento delle classi dominanti, è stata un’emigrazione biblica che ha visto fuggire le persone meno disposte ad assecondare i voleri di una borghesia feudale e parassitaria, e il rientro di una parte residuale di emigranti vissuti in realtà più evolute ha agevolato un vento di libertà ed autodeterminazione di un nucleo minoritario di molisani che si è ostinato a chiedere il rispetto dei propri diritti e delle leggi dello Stato. I partiti politici ed i sindacati confederali nel dopoguerra hanno svolto un ruolo significativo in questa evoluzione culturale sotto la spinta delle nuove norme Costituzionali sancite con la nascita della Repubblica, ma la palude degli anni ottanta ed il caos del ventennio successivo ha riportato indietro l’orologio della storia locale, riconsegnando le leve del potere a gruppi sempre più ristretti di persone.

La crisi della rappresentanza democratica che sconvolge tutti i paesi liberi, si è tradotta in un vuoto di partecipazione da parte dei cittadini, e in territori fragili come il Molise ha indebolito ulteriormente ogni soggetto politico e sociale, a vantaggio di una società fluida ed individualista, dove chi non ha mezzi non ha voce, e non ha più nemmeno la forza di incidere sulle scelte perché è solo. In un simile contesto è sempre più difficile contrastare la spoliazione progressiva degli Uffici dello Stato, il taglio della sanità pubblica, la chiusura a giorni alterni degli Uffici Postali, la soppressione muta di linee ferroviarie, e il superamento della Corte d’Appello che prelude alla messa in discussione dell’autonomia regionale. La fragilità dei corpi sociali intermedi si somma alla crisi della rappresentanza democratica, e accentua la difficoltà a gestire i contraccolpi della fuga dello Stato dal territorio. Ciò che colpisce è l’assuefazione all’umiliazione perpetrata sistematicamente ai danni del Molise con un post-terremoto che non chiude a 14 anni dall’evento, con 142 milioni in meno di fondi strutturali europei per il 2014-2020, con 1.100 addetti in meno nella sanità pubblica regionale, con un treno per Roma di scarsa affidabilità e improperi quotidiani assestati dal Presidente del Consiglio contro istituzioni afone. Il ribellismo antisistema viene utilizzato dal Capo del Governo per sterilizzare le già timide rivendicazioni locali col risultato di aggiungere al danno anche la beffa del pubblico ludibrio nazionale, come se il Molise rappresentasse un’eccezione nefasta di cui liberarsi il prima possibile per il bene dell’Italia. La mentalità feudale che impregna culturalmente il nostro territorio vedrà aggrumarsi pletore di vassalli pronti a schierarsi contro sé stessi pur di ingraziarsi il Principe di turno anziché lottare per la propria dignità come sarebbe necessario.
Michele Petraroia

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