Resistenza a un pubblico ufficiale: il reato è scriminato se vi è stato abuso di potere

Il nostro Ordinamento, in determinate ipotesi tassativamente sancite dal codice penale, esclude la responsabilità dei cittadini che commettono reati, non rimproverando loro comportamenti che normalmente integrerebbero a pieno titolo una figura criminosa.Una di queste ipotesi è integrata, appunto, dalla reazione legittima ad un abuso dell’Autorità
Il rapporto tra i cittadini e l’Autorità è basato sul reciproco rispetto o, meglio, sul rispetto da parte di entrambi della legge.
Il lavoro dei pubblici ufficiali è fondamentale per il quieto vivere civile, il mantenimento dell’ordine e la tutela dei diritti dei cittadini, ma è necessario che gli stessi lo svolgano entro i limiti riconosciuti dall’Ordinamento, senza oltrepassarli.
Per questo motivo, nei casi di abuso, il codice penale prevede la non punibilità del reo che abbia reagito ad un sopruso.
In particolare l’art. 1, 9° comma, della legge 94/2009, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, ha introdotto nel nostro Ordinamento un causa di non punibilità, ossia la c.d. legittima reazione dei cittadini agli atti arbitrari dei pubblici ufficiali (sostituendo un’attempata previsione del D. L.gs 288/1994).
Detta norma, confluita nell’art. 393-bis del codice penale, statuisce il legittimo diritto del cittadino a reagire agli abusi dell’Autorità.
Si pensi ai reati di violenza, minaccia, resistenza a un pubblico ufficiale, oppure di violenza o minaccia a un corpo politico, all’Autorità Giudiziaria, ecc.; ebbene in questi casi la condotta del cittadino non è punibile se è la reazione ad un abuso della stessa Autorità.
La norma in questione, difatti, statuisce che, nelle ipotesi suddette, il cittadino sia scriminato quando il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio (ovvero il pubblico impiegato) abbiano dato causa alla sua condotta illecita.
L’esimente suddetta non è di poco conto e ha trovato applicazione in molti casi.
E’ stata, ad esempio, riconosciuta legittima la reazione di un cittadino agli atti arbitrari di un poliziotto che voleva perquisirlo senza che vi fossero gli elementi obiettivi e normativi idonei a giustificare la perquisizione (Cass. pen. Sez. VI, 14-04-2011, n. 18841); altrettanto giustificata è stata ritenuta la resistenza di un cittadino ad un pubblico ufficiale che, illecitamente, voleva tradurlo in Caserma (in difetto dei presupposti previsti dalla legge).
In conclusione, ribadita l’importanza del lavoro svolto dai pubblici ufficiali (ubi societas ibi ius), è opportuno che i cittadini conoscano, per cautelarsi, i limiti che fungono da discrimine tra l’esercizio di un diritto e l’abuso di un potere.
Avv. Silvio Tolesino

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