L’economia mondiale a rischio stagnazione

Il centro studi della Confindustria è arrivato ad una conclusione a dir poco apocalittica ed ha tratto la conclusione che l’economia mondiale rischia di finire in una “stagnazione secolare” per gli effetti dei cambiamenti demografici e per la forte contrazione degli investimenti. Le previsioni di aumento del Pil mondiale sono state riviste al ribasso negli ultimi quattro anni, passando da un +4,8% medio annuo atteso nel 2011 per i cinque anni successivi a un +3,9% previsto nel 2015 (FMI). Per quest’anno nell’arco di 12 mesi le stime sono state abbassate dal 4,0% al 3,3%. Il rallentamento è maggiore nelle economie emergenti: dall’inizio della crisi le prospettive di crescita sono diminuite di mezzo punto percentuale nei paesi avanzati (da +2,6% medio annuo nel 2008 a +2,1% nel 2015) e di quasi due punti in quelli emergenti (da +7,0% a +5,1%).Le stime sull’aumento del PIL è deludente: nel 2015 +3,2% e nel 2016 +3,6% rispetto al +5,1% osservato nel periodo pre-crisi (media annua nel 2002-2007), aumentano i rischi al ribasso derivanti da un rallentamento più brusco della Cina e degli altri paesi emergenti. Dietro la frenata mondiale, ci sono gli effetti della crisi economica sugli investimenti, questi erano pari al 22,8% del PIL dei paesi avanzati negli anni 2000-2007 e sono scesi al 20,6% nel quinquennio 2010-2014. In Italia questa quota è scesa da 21,6% nel 2007 a 16,9% nel 2014.Altre cause negative sono il rallentamento demografico e l’invecchiamento della popolazione, che fanno diminuire la quota di persone in età lavorativa,a questo si aggiunge il minore impatto stimato delle nuove tecnologie sulla produttività, abbassando il sentiero di crescita economica, verso cui il PIL tende nel lungo periodo tanto che alcuni economisti parlano di ‘stagnazione secolare’. Nei paesi avanzati, un esito positivo sarebbe possibile, ma dipende molto dal mix di interventi pubblici che verranno adottati per rilanciare la crescita e innalzare il tasso di sviluppo potenziale dell’economia, per cui bisogna sostenere la domanda, soprattutto di investimenti; stimolare l’attività di ricerca e sviluppo; procedere con le riforme strutturali; adottare una vera politica industriale coerente con la riscoperta del ruolo centrale del manifatturiero”.

Alfredo Magnifico

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